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Facebook e il regolamento interno, una morale ipocrita e contraddittoria

Svelato il manuale stilato dal team del social network e utilizzato dalle aziende che si occupano di monitorare, controllare e censurare i contenuti pubblicati sulla piattaforma. Vietati persino i dipinti che raffigurano nudi o immagini di donne che allattano. I capezzoli? Ok solo quelli maschili.
A cura di Angelo Marra
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C'erano una volta i Dieci Comandamenti, i dettami che qualsiasi cristiano deve rispettare per vedersi aperti i cancelli dell'aldilà; al netto della questione religiosa, quasi tutte regole di convivenza civile bene o male condivise da tutte le religioni e società nel mondo. 10 regole universali ma rivelate da Dio, a prescindere che ci crediate o meno. Dopo migliaia di anni e in una società sempre più beata dalla secolarizzazione, ecco arrivare da Palo Alto un nuovo messia, Mark Zuckerberg, pronto a diffondere il suo verbo e le sue regole. Nei confronti del suo popolo di quasi un miliardo di persone, egli può tutto; decide cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa è pronto per essere accettato dalla società e cosa la offende, di cosa è possibile parlare e su cosa invece è obbligatorio tacere.

Poco importa se i confini del suo impero partono dai lussuosi grattacieli di Manhattan fino alle bidonville sudamericane, se i suoi adepti sono ragazzini strappati ai giochi e ingabbiati tra tag e like e anziani ottuagenari che ritrovano i propri commilitoni dopo 70 anni. Per tutti Mark Zuckerberg ha una sola ed unica morale, un solo regolamento, un solo verbo. Non c'è spazio per la diplomazia, non c'è contesto storico, sociale o geografico che tenga, l'ingegnere informatico di Harvard ha creato il suo mondo trasversale alla nostra società e lo domina con un regolamento universale come un santone nei confronti dei propri adepti. Le leggi ordinarie dei singoli stati vanno solo accarezzate per non inimicarsi il potente di turno e vedersi tagliati bacini di utenti, come successo in Cina, ma ciò che è legale, ordinario e comune nel nostro immaginario collettivo può non esserlo in questa realtà parallela, senza la benedizione del maestro.

Così scopriamo che al venerabile non infastidisce l'immagine di un uomo a torso nudo che ostenta i propri capezzoli (la mano trema per la vergogna anche al solo scriverne la parola); se è l'empia e volgare donna a farlo, il martello della censura colpirà senza alcuno scrupolo. La Chiesa mette la biancheria intima a statue e dipinti? Zuckerberg è ancora più netto, anche i dipinti, nn importa se pregiati e di enorme valore storico, vengono rimossi se violano in qualche maniera la morale bianca e blu. Ripensando a quei magnifici ed imponenti falò dell'epoca dell'Inquisizione, viene quasi da versare una lacrima di malinconia.

Come nei confronti di Dio, anche verso Facebook c'è bisogno di porsi come in un atto di fede; come il disegno del divino appare spesso oscuro e indecifrabile, così non deve stupirci che migliaia di segnalazioni verso pagine inneggianti alla violenza vengano pedissequamente ignorate mentre l'immagine di una donna che allatta il proprio figlio mostrando uno scorcio di seno rappresenti un vero e proprio sacrilegio. La fede verso il neo profeta riccioluto dev'essere cieca e totale, bisogna abbandonare i propri valori, principi, le conquiste sociali e le evoluzioni raggiunte per abbracciare totalmente questa nuova vita, spiritualmente più elevata di quella corrotta e volgare nella quale abbiamo finora brancolato.

La polemica nasce, come spesso accade, per puro caso, con uno dei fedeli che abbandona improvvisamente la nave e decide di sconfessarne il credo e denunciarne le interne contraddizioni. Essere pagati un dollaro all'ora per vigilare sui contenuti condivisi su Facebook, in effetti, può essere un buon motivo per covare rancore, soprattutto se non si è completamente presi dalla fede. Così una giovane marocchina, miscredente e sottopagata (forse impossessata da Google), decide di rendere pubblico il vademecum utilizzato da Facebook per controllare quali contenuti consentire e quali vietare sulla piattaforma. Non si tratta di due tavole (troppo vintage) ma di un documento di 13 pagine, l'Abuse Standards Violations, inutilmente definito “riservato”, che in un attimo ha fatto subito il giro del mondo.

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Nessuna novità, per carità, rispetto a quanto si sapeva. Scoprire però che l'altalenante, contraddittoria e vaga morale del social network più utilizzato al mondo sia definita addirittura nero su bianco, da la misura di quale peso abbia il controllo centrale sul suo impero. La marijuana a Facebooklandia è legale (non le altre droghe però), l'omosessualità anche finchè si mantiene “artistica”, l'attivismo politico è consentito nei limiti del fastidio del potente di turno, sempre libero di alzare la cornetta e chiedere la rimozione di contenuti non graditi. In quel caso il servizio è fedele e solerte, mentre chi butta un cane da un cavalcavia rimane tranquillamente al suo posto nonostante migliaia di segnalazioni, forse come monumento all'imbecillità umana da consegnare alle generazioni future secula seculorum.

Facebook e la sua religione arrivano dove gli altri non sono mai giunti; controversie internazionali come quella tra curdi e Turchia che da anni non trovano soluzione vengono immediatamente dissipate, con buona pace della diplomazia; il problema curdo non esiste, chiunque inneggi alla sua indipendenza, al PKK, oppure pubblichi immagini della bandiera turca in fiamme viene immediatamente bannato. Solo la bandiera turca però, per cui potete stare tranquilli, se odiate la Finlandia o il Guatemala, l'Uzbekistan o la Groenlandia, il caro Mark non avrà alcuna parola di rimprovero per voi.

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