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Facebook e l’accordo di non divulgazione imposto ai giornalisti: Epic Fail

Un attimo prima della conferenza riguardante l’annuncio di una “comune strategia legale” tra Facebook e l’Ufficio del procuratore generale di stato, il social network ha imposto a tutti i giornalisti invitati la firma di un accordo di non divulgazione che riguardava tutto quanto i cronisti avrebbero potuto “percepire” al di fuori dei contenuti della conferenza.
A cura di Anna Coluccino
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EpicFail

Immaginate che si sviluppi un incendio e che dobbiate chiamare i vigili del fuoco. Immaginate che i vigili arrivino ma che, una volta lì, voi gli chiediate di lasciare che tutto bruci.

Immaginate che qualcuno si senta male e che siate costretti a chiamare un medico. Immaginate che il medico arrivi ma che, una volta lì, voi gli chiediate di lasciare che il malato muoia.

Immaginate di aver fatto un incidente in cui avete distrutto l'auto e di aver bisogno di un meccanico. Immaginate di portare l'automobile dal meccanico e, una volta lì, gli chiedete di non toccare nulla.

Sono situazioni assurde, giusto? Paradossali. Se ci si rivolge a un qualunque professionista lo si fa perché svolga la sua professione, non perché venga a far numero, perché se ne stia silenzioso e immobile senza far nulla.

Bene, sembra che questo banalissimo principio sfugga a Mark Zuckerberg e i suoi.

Pare, infatti, che lo scorso 26 gennaio Facebook abbia avuto la faccia tosta di invitare diversi giornalisti a presenziare a una conferenza stampa presso la sede di Seattle (conferenza convocata allo scopo di ufficializzare una "comune strategia legale" tra il social network e l'ufficio del procuratore generale di stato) per poi chiedere loro di firmare un accordo di non divulgazione.

Nel caso crediate di non aver capito bene, sarò più chiara: Facebook ha invitato dei giornalisti (che per lavoro hanno scelto di raccontare il reale, il vero, ciò che vedono e sentono attraverso il solo filtro della loro intelligenza) e poi ha chiesto loro di firmare un documento in cui si impegnavano a non divulgare nulla di più di quanto veniva detto in via ufficiale nel corso della conferenza.  All'evento presenziavano soltanto alcuni dirigenti del social network, il procuratore generale dello stato di Washington Rob McKenna e alcuni suoi collaboratori.

Ecco il contenuto della mail al quale era allegato il Non Disclosure Agreement (NDA) incriminato. La mail è stata inviata alle 8:10, la mattina stessa della conferenza, da Dan Sytman, vice diretto dell'ufficio comunicazione del procuratore generale:

Facebook mi ha chiesto di girarvi questo accordo. Ne richiedono la firma a tutti i visitatori delle loro strutture.  Si applica solo alle cose che potreste sentire in maniera accidentale mentre siete lì e non copre nulla di quanto viene discusso nel corso della conferenza stampa. Cortesemente, portatene una copia firmata o siate pronti a firmare appena arrivati.

Come hanno potuto, Zuckerberg e i suoi, anche solo immaginare che la cosa non sarebbe venuta fuori accendendo critiche velenose e istigando giudizi sprezzanti? È a dei giornalisti che si sta parlando! Il minimo che può accadere è che non firmino l'accordo e che – anzi – si impegnino a rendere pubblico un comportamento che potrà anche essere "legittimo" (in quanto completamente legale) ma risulta senz'altro di dubbio gusto, ove non anti etico. Si chiede infatti ai dei giornalisti di venir meno al loro dovere di cronaca e la cosa, sebbene non rappresenti un crimine, resta poco corretta.

Ma, a questo punto, invece di avviarsi verso una così palese caduta di stile, non era meglio inviare un comunicato anziché di convocare una conferenza stampa? Se Facebook ha così tanto da nascondere e tiene in maniera evidentemente maniacale alla sua privacy –dopo aver sproloquiato in tutte le lingue del mondo su quanto, ormai, il concetto di privacy fosse desueto– perché invita dei giornalisti per poi impedir loro di fare il lavoro per cui sono stati chiamati? A che serve convocare una conferenza stampa se non si concede ai cronisti la possibilità di strappare più verità di quanto gli interessati non siano disposti a far venir fuori? Forse da Facebook si aspettavano un atteggiamento un po' più ossequioso, più ancillare al potere politico (e non solo mediatico) che ormai il social network ha evidentemente conquistato, ma il giornalismo made in USA, sebbene sia piuttosto lontano dai suoi fasti, ha una storia gloriosa, e i reporter americani (quelli veri) non venderebbero mai la loro immagine professionale per compiacere i capricci e le paranoie di un colosso, per quanto importante.

Ovviamente, giornalisti degni di questo nome non potevano accettare un simile accordo (accordo di cui vi mostriamo una copia in coda all'articolo) e così, dopo almeno due rifiuti da parte del Seattle Time e l'Associated Press, l'ufficio del procuratore ha tentato di correre ai ripari con una nuova mail in cui si provava a salvare il salvabile affermando che "era possibile ignorare l'accordo di non divulgazione inviato in precedenza". 

Ma il danno ormai era stato fatto e Facebook ha rimediato una pessima figura. Non solo per la questione dell'accordo in sé e per sé, quanto piuttosto per il dilettantismo dimostrato da una simile strategia comunicativa. Quel che è davvero ridicolo, infatti, è che un team che si occupa di comunicazione aziendale cada nel banalissimo errore di voler proteggere i propri segreti lasciando intendete (a dei giornalisti per giunta) di avere dei segreti. Come si può pensare -infatti- di poter mettere al sicuro i propri scheletri o le informazioni riservate mostrandosi così preoccupati di quel che gli ospiti potrebbero ascoltare da pretendere la firma di un accordo di non divulgazione, e durante una conferenza stampa per giunta?!

Tra l'altro, se si considera che Facebook è la compagnia che -più di tutte- ha tentato di fare della trasparenza il suo motto e del tramonto della privacy la sua bandiera, questa caduta di stile proprio non ci voleva. Zuckerberg ha passato anni a sottolineare -in ogni intervista- che l'era della privacy era finita, che la stretta tutela dei dati personali non interessava più a nessuno e che gli utenti erano felici di condividere i loro segreti con un gruppo più o meno ampio di persone, ma ora -alla luce della cieca decisione con cui il social network prova a difendere le informazioni che ritiene "sensibili"- tutto ciò appare un tantino ipocrita.

C'è poi da dire che, a pochi giorni dalla presentazione dei documenti per il lancio dell'IPO, lascia molto perplessi il terrore quasi irrazionale che sembra aver mosso Facebook in conseguenza al sospetto di una qualche fuga di notizie. Che cosa si sussurra tra le pareti del social network di così compromettente? Quali sono le notizie che hanno spinto il reparto comunicazione a un simile scivolone? Non ci risultato eclatanti casi di fughe di notizie riguardanti il social network di Zuckerberg e, pertanto, il provvedimento non ha intente riparatorie rispetto a un'accertata falla del sistema, ma non può che essere precauzionale rispetto a qualcosa di molto preciso di cui si teme la divulgazione.

Certo, non è nostra intenzione -ora- dare avvio a dissertazioni cospiraziniste, ma è chiaro che se una compagnia che di certo gode di alcuni trai più stimati professionisti al mondo commette un errore strategico all'apparenza così ingenuo, i casi sono due: o i segreti da nascondere sono più importanti del salvataggio della faccia, o qualcuno ha commesso un grossolano errore di valutazione.

non disclosure agreement facebook
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