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Finanziarsi una webserie vincendo le World Series di poker

Arrivato terzo ad uno dei più grandi tornei del mondo di Texas Hold’Em, l’attore di poca fama Matt Carmody si è autoprodotto una webserie. Segno dei tempi per un universo produttivo privo di un modello di business unico.
A cura di Gabriele Niola
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Non sono pochi gli attori che finanziano i propri film per essere sicuri che siano al miglior livello qualitativo possibile, Matt Carmody però ha segnato un nuovo standard. Attore di terza fascia, buono per piccoli ruoli in produzioni non gigantesche, sempre alla ricerca di un provino, e pokerista nel tempo libero ha partecipato alle World series di Texas Hold’em (1.500$ per l’ingresso, non un investimento da poco) ed è arrivato terzo. Insomma con un solo torneo di poker ha vinto circa 300.000$, troppi per un cortometraggio, troppo pochi per un film. Matt Carmody ha reinvestito tutto in Man Jam, una webserie fatta come dice lui, della quale è produttore oltre che attore e che mostra il mondo dal punto di vista prettamente maschile. Poco di sentimentale, molto di diretto, molta musica (è la storia di un gruppo di amici che hanno una band) e nessun compromesso visto che i soldi ci sono e li mette lui stesso.

È una storia che fa ridere (fare una webserie grazie ad un’incredibile vincita a poker) ma anche un caso indicativo. La storia di Man Jam, webserie scritta in maniera non eccezionale tuttavia girata con ottimi standard produttivi, è solo l’ultima di una serie di forme di produzione alternative per un prodotto che ad ormai 8 anni dalla sua nascita stenta a trovare un modello di business sicuro e ripetibile. Dove si trovano i soldi per fare una webserie? Come ci si può aspettare un ritorno? Cosa occorre fare per farsi notare dagli sponsor? Al momento in pochi hanno trovato risposte e anche quando le hanno trovate difficilmente queste potevano applicarsi a casi che non fossero il loro (pensate a quel genio di Freddie Wong e la sua Video Game High School).

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Quel che accade è che sempre di più le webserie sono viste come una maniera di mettersi in mostra e non si tenta più di renderle un business remunerativo. Man Jam stesso non va su YouTube, non cerca di monetizzare attraverso il Partner Program (il sistema per il quale YouTube condivide con l’utente gli incassi della pubblicità che compare vicino ai suoi video), nè ha stretto accordi con Vimeo (che da un po’ ha aperto la sezione on demand a pagamento con buoni risultati), privo di una forte spinta a monetizzare ha deciso di ospitare i video sulla sua piattaforma proprietaria.

Contrariamente a chi finanzia i propri sforzi con budget esigui (300.000 per meno di dieci episodi è molto!) gli autori come Carmody, o chi riesce a dar vita ad una campagna crowdfunding di successo, stanno cercando sempre di più di affrancarsi da YouTube, di cercare luoghi della rete in cui se non guadagnano loro, non ci guadagni nessun altro. Chiaramente è una battaglia a perdere. La crescita di YouTube infatti è stata recentemente oscurata da quella di Facebook, che nel campo del video ha superato lo storico aggregatore (per visite mensili), eppure sappiamo tutti che la piattaforma di Google ha un sistema di indicizzazione, di statistiche, commenti, consigli e remunerazione decisamente migliore. Tuttavia per le produzioni di finzione non basta, gli youtuber (che hanno costi vicino allo zero e sono da soli) riescono a viverci, le troupe o i team creativi no a meno che non si muovano su numeri nell’ordine dei milioni.

Man Jam allora è il perfetto prodotto di questa situazione: una webserie dai buoni valori produttivi finanziata con una grossa vincita ad un torneo di gioco d’azzardo. Il paradosso che le webserie si meritano.

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