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Opinioni

Video Game High School, la webserie più finanziata di sempre, è un capolavoro

Con 909.000 dollari donati dai fan la terza stagione della webserie su un liceo di videogiochi in un futuro in cui questi sono la cosa più importante del mondo si conferma come la più grande impresa del suo genere.
A cura di Gabriele Niola
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Per imparare qualcosa su come si facciano webserie bisogna seguire Freddie Wong, youtuber di RocketJump, autore di video con la passione per gli effetti speciali (meglio se invisibili come dimostra in questi video) e principale responsabile di Video Game High School, il suo progetto più grande e ambizioso che ha appena ricevuto il finanziamento per la terza stagione.
VGHS non è mai andato in nessun canale televisivo e aveva per le prime due stagioni un solo sponsor (per nulla invadente), tutti i soldi serviti per la sua realizzazione sono stati raccolti con il crowdfunding, cioè via kickstarter, chiedendo agli utenti di donare la somma che preferiscono in cambio di piccoli benefit.
Per questo bisogna seguire Freddie Wong: per come gira, per che storie racconta e per come raccoglie fondi. In una parola per l’atteggiamento che mostra di avere rispetto a quel che fa, il migliore per avere successo online.

Per arrivare alle cifre cui è arrivato subito ci voleva una grossa idea. La prima stagione, senza che nessuno avesse visto nulla, aveva infatti raccolto 270.000 dollari in virtù di qualche trailer e della fama di Wong ma soprattutto dello spunto di VGHS. La storia è quella di un liceo per gamer in un prossimo futuro, una scuola in cui le materie sono i generi dei videogame (fps, racing, platform…) e in cui gli studenti invece che dare esami o compiti in classe si scontrano via computer nei vari giochi (cosa che con grande senso dello spettacolo ci viene mostrata come se fossero “dentro al gioco” in realtà aumentata).
L’intuizione forte della serie dunque non è solo di avere un liceo con le sue consuete dinamiche tutto a tema videogiochi, quanto di essere ambientato in una società in cui i videogame sono la cosa più importante che esista, una della quale si occupano i telegiornali e il governo, una che determina anche tutte le dinamiche di popolarità e successo. Wong non ha inventato solo un luogo ma anche un’idea di società che presta il fianco a mille gag con riferimenti più o meno complicati alle idiosincrasie dei videogame e ai loro luoghi comuni.

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Se dunque la prima stagione ha raccolto, sulla fiducia, 270.000 dollari, il suo successo ha portato la campagna per la seconda a raccoglierne 808.000 (e qui lo stesso Wong per trasparenza ha descritto come vengano spesi nella decina di episodi sfornati ogni volta) e infine un mese fa la campagna per la terza, che è stata annunciata come l’ultima in assoluto, è arrivata a 909.000 dollari complessivi, facendo segnare un nuovo record per una webserie finanziata via crowdfunding.
Freddie Wong non ha chiesto soldi a nessuna compagnia, non ha fatto contratti, nè compromessi, non ha stretto accordi di pubblicazione nè ceduto i diritti a nessuno, ha semplicemente scelto un’idea che potesse piacere a molti e raccolto la cifra necessaria (la prima campagna aveva come obiettivo iniziale 73.000 dollari).

Dopodichè, trattandosi di un americano, ha anche cominciato a monetizzare al massimo il successo con il merchandising in tutte le forme, compreso addirittura un gioco da tavolo della serie.
Per questo VGHS non solo è una webserie a livelli qualitativi eccellenti, sia di realizzazione che di scrittura che di umorismo, ma anche un progetto effettivamente sostenibile che dimostra come sempre di più quest’era del video online sta dando vita a figure necessariamente ibride di realizzatori e produttori, cioè chi “fa” è anche chi cura la parte commerciale, come se ogni autore fosse responsabile di fare denaro invece che vendere tutto a qualcuno che poi lo sfrutterà (che è il modello classico del mondo dello spettacolo). Un mutamento che probabilmente è la componente più dirompente che quest’era di rivoluzioni lentamente con gli anni traghetterà nel mondo dello spettacolo tradizionale.

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