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Covid 19

I complottisti pensano che il 5G abbia causato il coronavirus (e bruciano i ripetitori)

Il 5G come causa della diffusione del coronavirus. È l’ultima teoria cospirazionista a circolare in rete, un’idea che ha spinto diversi inglesi a dare fuoco ad alcune antenne nel Regno Unito. Ma la realtà è che l’infrastruttura veloce non c’entra niente con la pandemia.
A cura di Marco Paretti
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Succede anche questo: il 5G accusato di aver portato alla diffusione del coronavirus nel mondo. Una tesi che va ad affiancarsi alle ormai innumerevoli drammatiche visioni sulla diffusione del 5G che, però, ora vengono tutte superate dalla tesi complottista più estrema: la diffusione delle antenne per la nuova infrastruttura veloce avrebbe consentito al virus di diffondersi con più efficacia per il mondo. Un'idea che in pochi giorni ha raccolto milioni di visualizzazioni e condivisioni grazie a video e post pubblicati sui social network, che hanno persino spinto qualche inglese a dare fuoco ad alcune antenne 5G nel Regno Unito.

Le tesi variano da caso a caso, ma la più diffusa è che le antenne 5G abbiamo portato a una sorta di "avvelenamento" che avrebbe quindi generato il coronavirus. Tesi che vengono portate avanti su gruppi e pagine anche italiane – dove la partecipazione è intorno alle decine di migliaia – ma soprattutto inglesi e statunitensi. È d'altronde in Gran Bretagna che alcune persone hanno deciso di bruciare delle antenne come protesta per la loro diffusione. Ma perché le persone hanno iniziato a pensare che il 5G abbia diffuso il coronavirus nel mondo?

Per sostenere questa tesi, i complottisti citano due elementi principali: il fatto che Wuhan sarebbe stata la prima città ad aver introdotto il 5G e che questa tecnologia comporti una diminuzione dell'efficacia del sistema immunitario dell'uomo. Per quanto riguarda il primo punto, se da un lato è vero che Wuhan è stata tra le prime città a introdurre il 5G, lo è anche il fatto che insieme a lei c'erano altre 15 città protagoniste di un pilota dedicato proprio all'integrazione di questo nuovo network. Città da cui, pare, non sono nate altre pandemie mondiali.

Sul punto relativo alla salute, invece, si torna a discutere di quelle che erano le principali tesi complottiste sul 5G, cioè che la tecnologia farebbe male al nostro corpo. Un'idea basata su studi indipendenti mai approvati né confermati dalla comunità scientifica – che, invece, nega – e che nel corso dell'ultimo anno hanno trovato terreno fertile anche in Italia. Ora è arrivata l'unione delle due cose: l'indebolimento del sistema immunitario favorirebbe l'aggressività del coronavirus. Un'idea chiaramente senza fondamento, perché le radiazioni rientrano abbondantemente nei livelli imposti dalla legge e si assestano su cifre 66 volte minori di quelle relative a radiazioni che possono modificare il DNA.

Ma ci sono anche altre teorie ancora più campate per aria, come quella secondo la quale il 5G consentirebbe ai batteri di comunicare e diffondersi più efficacemente all'interno del nostro corpo e all'interno delle comunità. Un'idea senza senso, prima di tutto perché il virus è un virus e non è un batterio e poi perché è una tesi senza fondamento scientifico (a sostegno i complottisti riportano uno studio del 2011 che, però, è relativo appunto ai batteri). Senza considerare i paesi in cui il 5G non è attivo, dove il coronavirus ha comunque fatto strage di persone. "La correlazione di due variabili non ne implica la casualità" ripete come un mantra l'attore e comico Vincenzo Bordoni in un video ironico sulla questione.

Nel frattempo YouTube, portale sul quale si sono moltiplicati i video complottisti sulla questione, ha deciso di eliminare tutti i video che collegano la pandemia alla diffusione della rete veloce. Lo ha annunciato nelle ultime ore, dopo comunque giorni in cui i video hanno fatto il giro del pianeta generando milioni di visualizzazioni. Allo stesso modo il portale eliminerà i filmati che promuovono metodi non ufficiali al posto delle cure mediche previste per il trattamento del coronavirus.

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Giornalista dal 2002 specializzato in nuove tecnologie, intrattenimento digitale e social media, con esperienze nella cronaca, nella produzione cinematografica e nella conduzione radiofonica. Caposervizio Innovazione di Fanpage.it.
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