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I sopravvissuti al Bataclan e i videogiochi come mezzo per ricominciare a vivere

Thomas, Kevin, Eric, Josephine, Alexis. Sono alcuni dei sopravvissuti all’attacco terroristico al Bataclan. Ragazzi di circa 35 anni, videogiocatori cresciuti con i videogiochi. E che proprio in questo medium hanno ritrovato un pezzo di realtà a cui aggrapparsi.
A cura di Marco Paretti
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Il 13 novembre 2015, l'età media delle vittime dell'attacco terroristico che ha colpito il Bataclan di Parigi e che ha portato alla morte di 130 persone era di 35 anni. I ragazzi e le ragazze che hanno perso la vita o che si sono salvate durante l'orribile attacco erano giovani e giovanissimi, appartenenti a quella che in molti definiscono la generazione di videogiocatori. Quella, cioè, che ha iniziato a videogiocare fin dalla sua infanzia, mettendo mano alle prime console casalinghe e, spesso, proseguendo poi per tutta la sua adolescenza. Una costante nella vita di molte persone e degli spettatori del Bataclan, che nei mesi successivi all'attacco terroristico hanno utilizzato proprio questo elemento come una delle ancore che li hanno tenuti legati alla realtà in un mare di flashback, agorafobia e stress post traumatico.

Lo sottolinea Le Monde in un articolo sui sopravvissuti alla serata del 13 novembre che hanno ritrovato nei videogiochi una valvola di sfogo. Poco importa che fossero violenti o meno, perché la funzione dei videogiochi può anche essere solamente quella di elemento legato alla normalità, allo svago quotidiano che ognuno si può concedere in maniere del tutto diverse. Thomas, per esempio, sceglie di combattere l'insonnia con Metal Gear Solid V: The Phantom Pain, un titolo di certo non esente da scene violente, ma che ha avuto un effetto calmante sul giovane sopravvissuto. "Mi ha aiutato a ridurre le energie negative" spiega. "Non posso sfuggire all'attacco, perché vivo ogni giorno con esso e ne subirò le conseguenze per la vita. Ma ho trovato una scappatoia nei videogiochi e questo mi ha aiutato molto" gli fa eco Eric, un altro sopravvissuto.

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Poi c'è chi, come Kevin, pensa che la passione per i videogiochi lo abbia aiutato a sopravvivere all'attacco, portandolo a capire subito cosa stava succedendo e cercando "da un punto di vista spaziale, i punti ciechi". Con riflessi da giocatore, aggiunge. Un approccio che, secondo la psicologa Vanessa Lalo, interpellata da Le Monde, non è poi così irrealistica: "La ricerca scientifica dimostra che i videogiocatori hanno un processo decisionale molto più rapido della maggior parte delle persone, con una grande capacità di pianificare schemi ed eseguirli rapidamente".

Non per tutti, però, i videogiochi sono rimasti gli stessi. C'è chi, come lo stesso Kevin o Josephine, non è più riuscito a giocare a giochi violenti o dove ci sono armi da fuoco. "Per strada ho sentito qualcuno scuotere il suo tappeto alla finestra, sono scappata" spiega Josephine. "Quindi il suono virtuale di un'arma automatica…". Anche Kevin ora ha problemi con gli sparatutto. Con il fenomeno globale PlayerUnknown's Battlegrounds ha un rapporto impossibile: "L'ansia, il realismo, il fatto di essere perseguitati da altre persone, il suono dei proiettili che fischiavano nell'aria… All'inizio non l'ho sostenuto".

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Così c'è chi sceglie di tornare a giocare a videogiochi "pacifici", dai giochi di guida come Forza Horizon agli strategici come Civilization, passando per The Legend of Zelda e Mario. "Questi giochi mi fanno bene" spiega Max Besnard, un giornalista videoludico sopravvissuto al Bataclan. "Soprattutto, siamo liberi, possiamo camminare ovunque". Ma i videogiochi, come sottolinea un altro dei ragazzi, possono diventare anche un modo per tenere a distanza la violenza. In questo caso c'è chi ha preferito i titoli a turni e con visuale dall'alto, dove il giocatore ha il pieno controllo dell'azione. "Un modo per contrastare la brutalità, la sorpresa e quindi per mantenere la violenza a distanza, per controllarla. Una guerra lenta, vista dal cielo".

L'utilizzo dei videogiochi come parte del trattamento dello stress post traumatico non è d'altronde una novità. Nel 2010 uno studio aveva dimostrato come Tetris è in grado di ridurre la ricomparsa di ricordi post-traumatici, mentre da diversi anni i videogiochi – e in particolare la realtà virtuale – sono utilizzati negli Stati Uniti per aiutare i veterani dell'esercito statunitense che soffrono di stress post-traumatico. Questo anche perché questi strumenti possono aiutare le vittime di eventi traumatici a riprendere gradualmente la propria vita sociale. Sia online con altre persone, senza lasciare la sicurezza delle proprie case, sia nel mondo reale, dove strumenti come la console Nintendo Switch o anche solo Pokémon Go hanno aiutato diversi sopravvissuti ad affrontare quel mondo che in pochi istanti li ha devastati. "Ho ancora grossi problemi con lo stress post-traumatico, ma sono della generazione Pokémon e non volevo perdermelo" racconta Alexis. "È il gioco che mi ha fatto uscire e andare in posti molto turistici, incontrare estranei, imparare a fidarsi".

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Sono racconti importanti, che ovviamente fanno parte di una situazione che è molto più complessa. Ma che in questo caso, proprio in virtù della generazione colpita dall'attacco, dimostrano come questo medium possa assumere un ruolo ben più ludico rispetto a quello che qualcuno cerca di farci credere. Ed è bene raccontarle queste storie, soprattutto in un periodo in cui i videogiochi vengono attaccati immotivatamente e accusati di generare proprio quella violenza che porta ad orrori come quello del Bataclan. Ma di questa influenza non c'è traccia in nessuno degli studi sui videogiochi. Che, anzi, hanno sempre dimostrato il contrario. Così com'è diversa la storia raccontata da Thomas, Kevin, Eric, Josephine, Alexis e gli altri sopravvissuti. Che nei videogiochi hanno ritrovato un pezzo di realtà a cui aggrapparsi.

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Giornalista dal 2002 specializzato in nuove tecnologie, intrattenimento digitale e social media, con esperienze nella cronaca, nella produzione cinematografica e nella conduzione radiofonica. Caposervizio Innovazione di Fanpage.it.
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