Quando The Last of Us 2 uscirà il prossimo 19 giugno, sarà il primo videogioco con un protagonista gay della storia del settore. Nel 2020, uscirà il primo titolo videoludico che vede come protagonista un personaggio appartenente alla comunità LGBTQ. Non ci credete? Controllate pure: l'idea che nei videogiochi i personaggi gay siano diffusi è solo una falsa apparenza, nascosta dalle decine di ruoli secondari che vedono rappresentati personaggi gay, a volte persino stereotipati e che toccano solamente la superficie dell'ambito LGBTQ. I trans? Non parliamone nemmeno. E i neri? Stessa apparente situazione positiva, ma la realtà è che i protagonisti di colore sono pochi, troppo pochi. E che il medium videoludico continua a promuovere immagini di uomini o donne bianchi, con poche eccezioni.
È importante comprendere questa situazione, soprattutto alla luce degli ultimi eventi. Da un lato per le forti proteste in risposta alla morte di George Floyd esplose negli Stati Uniti e dall'altro per l'inizio del mese del Pride, che coincide con un'altra serie di manifestazioni sul tema dei diritti LGBTQ. Ecco, in questo clima difficile, è giusto prendere consapevolezza di una cosa: se alcuni passi in avanti verso un medium più inclusivo sono stati fatti, non dobbiamo illuderci che i videogiochi siano il mezzo più diversificato al mondo. Anzi.
Per capire perché possiamo prendere come esempio le decisioni comunicate da due grandi aziende tecnologiche in questi giorni: il rinvio della quarta stagione di Call of Duty annunciato da Activision e il posticipo della presentazione di PlayStation 5 da parte di Sony. Cosa hanno a che fare questi due eventi con il movimento Black Lives Matter? Senza peccare di malizia, potremmo pensare che le due aziende abbiano rimandato questi lanci perché in questo clima avrebbero stonato con le proteste. Ragionamento comprensibile e che sicuramente ha mosso le due aziende in questi giorni. Detto questo, però, il rinvio fa sorgere due importanti questioni.
La prima riguarda Call of Duty – ma potrebbe riguardare qualsiasi altra serie videoludica – e le sue stagioni. Finora ne sono uscite tre, con altrettanti "protagonisti" che ne hanno guidato il marketing. Due uomini bianchi e una donna bianca. Quest'ultima, peraltro, basata su una influencer delle armi – sì, esistono – statunitense, ma il cui personaggio è venezuelano. I neri sono relegati a essere personaggi secondari all'interno del multiplayer e a prendere le veci di uno dei protagonisti meno esposti – soprattutto a livello di marketing – della campagna principale. La quarta stagione non cambierà molto le cose: il "protagonista" è bianco e l'unico personaggio nero introdotto sarà relegato a un livello successivo del Battle Pass.
Vuoi giocare nei panni di un nero? Devi pagare (o aspettare)
Attenzione, perché questo passaggio è fondamentale. Le stagioni di Call of Duty hanno un funzionamento molto semplice: quando escono, consentono di accedere a un avanzamento di 100 livelli che ha un costo di 9,99 euro. Giocando si sbloccano nuove skin per le armi, personaggi e altri elementi cosmetici da usare nelle partite multigiocatore. Il primo personaggio – quello che guida la comunicazione di quella determinata stagione – è però sbloccato subito: fino ad oggi sono stati tutti bianchi. Un videogiocatore nero che volesse giocare con un nuovo personaggio che lo rappresenta – e quindi, nel caso della quarta stagione, con Kyle "Gaz" Garrick – dovrà però pagare un'ulteriore somma di denaro oppure giocare diverse ore prima di sbloccarlo. Se vi sembra un problema di poco conto, probabilmente siete videogiocatori bianchi. E non vi rendete conto dei vostri privilegi.
Con il lancio di PlayStation 5 il discorso si amplia. La domanda, però, è una sola: quanti personaggi (protagonisti) di colore avremmo visto durante l'annuncio del 4 giugno? Quante figure rappresentative di quell'America che si sta mobilitando per farsi sentire? Pochi, temo, anche per un'azienda che si sta sforzando di diversificare i suoi personaggi. The Last of Us 2 ne è un esempio lampante: la prima protagonista lesbica della storia dei videogiochi. Nel 2020. Ma a livello generale di presenza delle minoranze all'interno dei videogiochi stiamo comunque parlando, appunto, di minoranze. Ci sono Clementine e Lee della serie The Walking Dead, Marcus di Watch Dogs 2, CJ di GTA, Lincoln di Mafia 3. Qualche altro esempio degno di nota e poi solamente protagonisti bianchi. E anche nella cerchia dei titoli che presentano personaggi di colore, spesso questi ruoli sono stereotipati e coinvolgono caratteri vivaci, aggressivi e rumorosi. Ho citato quei protagonisti perché, invece, vanno in controtendenza e presentano dei personaggi realmente approfonditi. Per fare un esempio opposto, Super Smash Bros. Ultimate ha oltre 70 personaggi giocabili. Nessuno di essi è nero.
Il problema delle minoranze negli studi di sviluppo
Una problematica che chiaramente è lo specchio di una situazione ancora più complessa, cioè quella degli studi di sviluppo che non hanno figure manageriali o di direzione appartenenti a queste categorie minoritarie. Ci sono ancora pochi neri, donne, gay negli studi di sviluppo, un elemento che poi si riversa in prodotti che pensano prima ai bianchi e poi al resto della popolazione. Ma attenzione, perché stiamo ancora parlando di elementi superficiali. Scavando ancora più a fondo nel problema troviamo una radicalizzazione così inserita nel sistema di sviluppo da risultare quasi impossibile da scardinare.
Per capirlo bisogna fare un passo indietro e parlare di cinema. Nella produzione cinematografica, la pelle nera è sempre stata un problema. Lo era perché nei confronti della luce si comporta in maniera differente rispetto alla carnagione chiara e solamente negli anni '80 Kodak ha lanciato una pellicola pensata per catturare con maggiore affidabilità le tonalità tendenti al marrone e al rosso. Un gesto di avvicinamento agli attori neri? No, lo ha fatto per compiacere i produttori di mobili che si erano lamentati della rappresentazione dei loro prodotti nei film. Accidentalmente questo cambiamento ha migliorato la situazione anche per le attrici e gli attori neri. Che culo, eh?
I limiti tecnici dei videogiochi
Nei videogiochi, pur trattandosi di mondi e oggetti virtuali, i problemi sono simili. Per esempio, nel Nintendo Entertainment System (NES) la palette di colori a 8-bit disponibile per gli artisti era molto sbilanciata verso le colorazioni più chiare, dando poche possibilità di lavorare su carnagioni scure. Negli anni questo problema si è allontanato dai pixel ed è entrato nel reame dell'illuminazione, che anche nel cinema continua a essere un problema per le carnagioni scure. Il motivo? Gestire l'illuminazione della pelle scura nei videogiochi è molto più complesso in un ambiente 3D, così come lo è in un set cinematografico. Spesso, vista anche la complessità della gestione generale dell'illuminazione, viene utilizzato un sistema generalizzato e impostato sulle tonalità di pelle chiare, che ha come risultato quello di rappresentare i personaggi neri come sottoesposti. Anche le tonalità scure della pelle faticano a variare a seconda degli ambienti e delle situazioni di luce, a differenza dei personaggi bianchi che invece si adattano ai vari cambiamenti e risultano generalmente più concreti. Addirittura spesso si sceglie di "sbiadire" la pelle per renderla meglio rappresentabile nella maggior parte delle condizioni di luce.
"Non penso che la tecnologia ci stia bloccando" ha spiegato Shareef Jackson, responsabile di una serie di video sulla rappresentazione dei neri nei videogiochi. "Siamo in grado di raggiungere nuovi obiettivi in ogni generazione. Puoi avere i capelli e i vestiti che svolazzano al vento. Se le aziende decidessero di risolvere questo problema, lo prioritizzerebbero. Se non ci sono persone all'interno del team che chiedono questi elementi, questa situazione non cambierà". Andiamo ancora più a fondo. Nei videogiochi esiste un uomo virtuale chiamato Lee Perry-Smith. O meglio, esiste solamente la sua testa: quando gli artisti 3D devono provare i loro shader per la pelle, utilizzano quella di un modello virtuale basato su un uomo bianco, Lee Perry-Smith appunto. Un concetto molto simile a quello delle Shirley Cards, delle fotografie di riferimento utilizzate per bilanciare il bianco nelle foto e nei video. Ovviamente erano raffigurate solo donne bianche.
Questi sono solamente esempi, pezzi di un puzzle che caratterizza il problema della rappresentazione delle minoranze nei videogiochi. Parti che peraltro si riferiscono solamente all'aspetto visivo di una minoranza che è anche e soprattutto culturale. Un quadro complesso e mai scontato, che solo apparentemente è stato corretto nel corso degli ultimi anni. Allora è bene prenderne atto, diventando consapevoli del fatto che serviranno gli sforzi delle minoranze, dei giocatori "privilegiati" e degli sviluppatori per dare voce a queste categorie, per creare un'idea di arte che vada contro uno status quo impostato sul volto bianco come norma, mentre getta ombre su un mondo a colori e vivace. Che vuole solo esprimersi allo stesso livello.