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Luca Nicotra: “bisogna garantire agli autori la giusta remunerazione”, ma Agcom protegge altri interessi

Intervista a Luca Nicotra in merito al contenuto della delibera Agcom che vorrebbe regolare il diritto d’autore online ma, molto probabilmente, finirà solo per imbavagliare la rete, limitando pesantemente la libertà d’informazione, la libera diffusione della cultura e costringendo al fallimento numerosi provider.
A cura di Anna Coluccino
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Luca Nicotra è il segretario di Agorà Digitale ed è, da sempre, fortissimamente impegnato nella promozione di una rete libera, neutrale e indipendente. Da quando l'Agcom ha fatto la sua "proposta" in materia di diritto d'autore online, Nicotra -insieme ad altri operatori del web e semplici cittadini- ha lanciato l'iniziativa Sitononraggiungibile.it ed ha più volte chiesto ad Agcom di fare quanto aveva promesso, ovvero ascoltare il parere del "popolo della rete" in merito alla delibera e accettare di modificarla secondo i suggerimenti che sarebbero arrivati. Nulla di tutto questo è stato fatto, e la delibera rischia seriamente di essere approvata il prossimo 6 luglio, senza dibattito, senza mediazione e nonostante le urla del web.

Il punto è che l'Agcom non può decidere di sostituirsi alla magistratura e se la delibera dovesse passare disegnerebbe un quadro unico al mondo, in cui un'Autorità garante per le comunicazioni avoca a sé il diritto di oscurare un sito e, quindi, di giudicare se c'è stata o meno violazione del diritto d'autore. Abbiamo perciò ritenuto doveroso contattare Luca per rivolgergli alcune domande che potessero far luce su alcuni punti oscuri di questa brutta faccenda e per ribadire il nostro secco no alla delibera così com'è.

In queste ore, sono arrivate diverse repliche da parte dei consiglieri dell'Agcom; repliche che mirano a far apparire i "contestatori" come dei promotori del furto della proprietà intellettuale, contrari a qualsiasi genere di regolarizzazione. Non è così. Nella foltissima schiera di chi ha voluto schierarsi contro la delibera ci sono noti garantisti, giornalisti ed esperti che non sono affatto celebri per il loro "radicalismo", ma che in questo documento hanno individuato i medesimi vizi che anche noi sottolineiamo e chiedono all'Agcom di non macchiarsi della colpa di uccidere il web per salvaguardare interessi "altri" che nulla hanno a che vedere con ciò che è meglio per il paese e per i cittadini italiani.

L'intervista

Cominciamo con il segnalarti i commenti del commissario Agcom Stefano Mannoni che ha definito “insensate” le critiche alla delibera dichiarando che: lo Stato nasce nel ‘600 allo scopo di difendere la “proprietà”, che quindi è doveroso salvaguardare le “proprietà” degli operatori dell’industria perché “pagano le tasse” e lo Stato “glielo deve”; dice di voler proteggere i “videonoleggiatori” (che -con tutto il rispetto- è un po’ come dire di voler proteggere le aziende che producono musicassette); asserisce che l’Agcom ha “tutto il diritto di intervenire” e che -anzi- ci ha messo fin troppo a decidersi. Ti va di rispondere punto per punto al commissario?

Svegliate Mannoni, per favore, qualcuno gli dica che non siamo più nel ‘600, che gli stati nazionali sono in crisi e che è davvero "poco ragionevole" difendere l'idea di proprietà nel contesto di beni immateriali come quelli basati sulla creatività. A parte gli scherzi, la proprietà intellettuale non è un diritto fondamentale ma è un monopolio che lo stato garantisce ai creatori di opere per incentivare la creatività nella società, al fine di garantire agli autori una giusta remunerazione. È proprio tale giusta remunerazione che bisogna cercare di salvaguardare e non concetti di altre epoche a cui è così affezionato.

Ogni volta che si parla di rete, i governanti ostentano un’ignoranza fiera e tracotante, accompagnata da un vena di luddismo. Il tentativo è quello di convincere i cittadini che “la nuova macchina” rischia di togliere loro lavoro, impoverendoli, quando -al contrario- la maggior parte dei giovani italiani lavora proprio grazie al web, e questo perché (da che mondo è mondo) le innovazioni non cancellano il lavoro, ma lo costringono a trasformarsi. Che cosa avrebbe potuto fare l’industria culturale per adattarsi ai tempi invece di tentare strenuamente di resistere al cambiamento e conservare lo status quo?

Esiste uno studio, presentato durante il recente G8 di Internet a Parigi, che mostra come per ogni posto perso a causa di Internet, ve ne sono 2,6 che si creano grazie ad Internet. Cosa vuol dire? Che per ogni 2 videonoleggiatori che perdono il lavoro – e figuriamoci se non mi dispiace – nascono nuove imprese su internet, magari legate proprio alla fruizione di video, che danno lavoro a 5 persone. La società diventa più ricca grazie ad Internet. Dobbiamo poi dire che una cosa è la rappresentazione catastrofica che l'industria culturale cerca di presentare ai decisori pubblici, un'altra cosa è la realtà della situazione. Con un boom della fruizione di Cinema e un'industria musicale che ha grandi prospettive di crescita per i prossimi anni. In realtà, a parte realtà vetuste che esistono sempre, si stanno già rinnovando, ma non lo vogliono dire.

Il tuo intervento ha avuto il merito di dare uno scossone alla rete, costringendola a guardare in faccia il proverbiale elefante nella stanza. Proviamo a ribadire alcune cose (tanto perché non si riesca a farvi passare per fautori del saccheggio indiscriminato del lavoro intellettuale ma per i seri professionisti che siete). Quali sono, a tuo avviso, le ragioni che stanno alla base di questa delibera?

Quello che mancava era un racconto di cosa stava succedendo. Con il mio "sfogo" ho cercato di fornirne uno. Ma è importante capire che di "sfogo" si trattava. Le forze che spingono verso un regolamento repressivo come quello che si appresta a varare l'autorità sono molte. Dall'industria dell'intrattenimento che agisce anche per mezzo di pressioni internazionali, fino al sistema radiotelevisivo italiano che mira a "normalizzare" il web, il suo carattere anarchico e creativo, per farne poi strumento di conquista monopolisitca. Ed è innegabile che quest'ultima spinta sia molto più forte per la presenza di un grosso conflitto del nostro presidente del Consiglio.

Quale potrebbe essere una proposta serie e ponderata per la tutela della proprietà intellettuale in rete? Esiste un modello straniero di riferimento a cui potremmo ispirarci?

Come dicevo prima, la giusta remunerazione deve essere il nostro faro, assieme al rispetto dei diritti fondamentali di accesso all'informazione e alla conoscenza. La proposta che da tempo sostiene Agorà Digitale, l'associazione di cui sono segretario, è chiara: si legalizzino tutti gli usi non commerciali delle opere, e in cambio una piccola parte del nostro abbondamento ADSL vada agli autori. È una prospettiva che la stessa Agcom individua come ottimale. E poi aprire il mercato dell'intermediazione dei diritti. La SIAE è un carrozzone poco trasparente, costoso e politicizzato che bisogna riformare. Bisogna però ammettere che esiste uno stallo internazionale sul diritto d'autore. Si trova grande difficoltà ad effettuare le riforme che sarebbero necessarie proprio per il potere economico dei soggetti che a tali riforme si oppongono.

Uno degli aspetti peggiori di tutta questa faccenda è che l’Agcom aveva promesso che non avrebbe mosso un dito previa consultazione della società civile e, invece,non ha minimamente tenuto in considerazione le problematiche che tu e gli altri promotori di "Sitononraggiungibile" avete sollevato. In quali punti avresti voluto modificare la delibera? Quali sono i passaggi più pericolosi?

Agorà Digitale assieme ad Adiconsum, Altroconsumo, Assoprovider, Assonet e lo Studio Legale Sarzana ha mosso un obiezione più profonda: una autorità amministrativa non può intervenire su materie che toccano libertà fondamentali garantite dalla costituzione quali la libertà di espressione o la libertà di accesso alla conoscenza. Non possiamo accettare che nelle stanze buie dell'autorità si possa decidere del futuro del sistema dell'informazione in Italia.

Se questa delibera dovesse passare, che tipo di Web ci attende a partire dal 6 luglio?

Avete presente la TV? Quello. Il web rischia di seguire la stessa parabola della Televisione e della radio. Vi ricordate gli anni delle radio libere in cui ciascuno poteva installarsi un'antenna e cominciare a trasmettere? Beh, dopo pochi anni sono entrate in vigore leggi che hanno man mano chiuso quel sistema e inaridito quella vitalità. È lo stesso rischio che corre il web. Inoltre rischiamo di vivere in un sistema dell'informazione dove sempre piu' facilmente i potenti hanno la possibilità di eliminare informazione scomoda. Questo è il vero nodo.

Che impatto può avere una delibera come questa sull’economia delle aziende che abitano la rete?

I grandi colossi potranno forse ammortizzare il costo di adeguarsi alla normativa, per le migliaia di provider potrà voler dire il fallimento.

Esistono margini di manovra o possibilità di marcia indietro da parte dell’Agcom o finisce tutto qui? Che cosa si potrebbe fare per costringerli ad ascoltare?

Come raccontavo nel mio "sfogo", noi siamo andati dall'autorità per trattare, ma ci siamo trovati di fronte un muro. Se, come in questo caso, sembrano non esserci margini di trattativa, l'unica soluzione è quella di raccontare l'inferno in cui ci stanno per gettare ai cittadini. Una forte consapevolezza comune è un grande patrimonio che puo' davvero cambiare le cose e costringere i potenti a tornare sui propri passi.

Se potessi far appello alla coscienza di chi, il 6 luglio, si troverà nella posizione di poter decidere del futuro del web italiano, cosa gli diresti?

Davvero volete essere ricordati come gli autori di un mostro senza precedenti nel mondo occidentale? Davvero volete diventare nell'immaginario collettivo gli uomini-censura del nuovo millennio? Davvero ci volete gettare in questo baratro senza fondo? E poi perchè? Sicuri che ne valga la pena?

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