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Opinioni

Un moderatore di Facebook è morto sul lavoro e altri temono per la propria vita

Dopo la morte di un moderatore di 43 anni sul posto di lavoro, alcuni dipendenti di un’azienda appaltatrice di Facebook hanno deciso di venire allo scoperto e svelare tutti i retroscena di uno degli impieghi più duri e difficili del social network, mettendo alla luce una realtà terribile, tenuta a lungo segreta da un accordo di non divulgazione lungo ben 4 pagine.
A cura di Dario Caliendo
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Dal 2006, quando Facebook è stata oggetto di accuse molto pesanti per non aver fatto nulla per evitare gli abusi relativi ai post pubblicati dalla sua comunità, l'azienda ha ampliato la sua forza lavoro nel settore della sicurezza e della moderazione, fino a superare la quota trecentomila dipendenti, solo in questo settore. E circa la metà di questi sono moderatori dei contenuti, assunti da una manciata di aziende private che hanno preso in appalto proprio il (duro) compito di verificare e, quando necessario, censurare tutti i contenuti impropri pubblicati nel social network.

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E la storia che racconta The Verge riguarda proprio una di queste aziende, la Cognizant di Tampa, che ha stipulato un contratto biennale con Facebook da 200 milioni di dollari, a fronte di uno stipendio annuale per ogni moderatore pari a soli 28.800 dollari. Il problema venuto a galla con l'inchiesta del sito statunitense, però, non riguarda i lavoratori sottopagati e, in un certo senso, fa sembrare quello dello stipendio il male minore. Perché, a prescindere da alcuni casi di stress post-traumatico, dovuti evidentemente alla tipologia di contenuti con i quali i moderatori hanno a che fare ogni giorno, i dipendenti della Cognizant avrebbero diritto a due pause di 15 minuti e ad una pausa pranzo di 30 minuti, assieme a 9 minuti di "benessere" che possono utilizzare per prendersi una pausa qualora si sentissero sopraffatti dal pedaggio emotivo del lavoro che stanno svolgendo.

Ma ciò che è successo il 9 marzo 2018, va ben oltre il semplice concetto delle condizioni lavorative di alcuni dei moderatori di Facebook. Anzi, ne è la più diretta e peggiore conseguenza. Perché il 9 marzo 2018 Keith Utley, ex dipendente di Cognizant, ha perso la vita per un infarto proprio durante un turno lavorativo notturno.

"Lo stress a cui era sottoposto era terribile" – ha spiegato un manager dell'azienda a The Verge . "Ho passato molto tempo a parlare con lui di tutti i problemi che aveva sul lavoro, ed era sempre preoccupato di poter essere licenziato". Che questo costante timore del licenziamento, associato alle pessime condizioni lavorative, e alle tipologie di contenuti con i quali aveva a che fare il dipendente, sia stata la causa dell'infarto di Keith non è certo.

Vero è, però, che i moderatori di Facebook sono vincolati ad un tasso di accuratezza del 98%, il che significa che se un dipendente riporta un contenuto come "safe" erroneamente, può essere messo alla porta senza troppi complimenti. Ma nonostante questo clima teso (o forse proprio per colpa di questo clima teso), il centro Cognizant non è mai riuscito a rispettare l'obiettivo, e le performance complessive dell'azienda di Tampa sono da tempo ferme al 92% di accuratezza. Insomma, secondo quanto emerge dall'inchiesta di The Verge, le condizioni lavorative dei moderatori di Facebook sono a dir poco borderline, e per preservarsi da eventuali denunce, prima di essere assunti, quelli della Cognizant sono obbligati a firmare un contratto di non divulgazione lungo quattro pagine.

Ed è proprio a seguito della morte di Keith Utley questa NDA è stata ignorata da alcuni suoi ex colleghi che, dopo aver visto l'azienda mentire comunicando che in realtà il quarantatreenne (ex marina militare) stesse bene e dopo essersi trovati il padre in ufficio per recuperare le sue cose, hanno deciso di svelare per la prima volta tutti i retroscena di questa particolare tipologia di impiego, mettendo alla luce tantissimi problemi dovuti alle condizioni lavorative, allo stress dovuto alle prestazioni richieste e, soprattutto, al trauma causato dalla tipologia di contenuti con cui avevano a che fare ogni giorno.

"Ogni volta che ricevo un'e-mail o una telefonata dai miei clienti, mi preoccupo che ci sia stata una sparatoria, e so che questa è anche la loro preoccupazione" – ha spiegato KC Hopkinson, un avvocato che rappresenta diversi dipendenti attuali e precedenti dell'azienda di Tampa – "Entrano ogni mattina chiedendo, ‘che cosa vedrò oggi? E lo farò a casa stasera?".

A maggio Facebook ha dichiarato che aumenterà gli stipendi degli appaltatori di 3 dollari l'ora, ma questi aumenti non avranno effetto fino alla metà del 2020, quando gran parte dell'attuale forza lavoro di Tampa non lavorerà più in azienda. Nel frattempo, il social network sta creando un "team di resilienza globale" con l'incarico di migliorare il benessere dei dipendenti e degli appaltatori, ma resta sempre da vedere quanto le cose possano cambiare, qualora si continuasse a seguire una struttura del genere.

L'unica reale soluzione al problema è già in via di sviluppo, e si nasconde dietro ad una serie di algoritmi di machine learning, che saranno in grado di riconoscere in maniera del tutto autonoma (e senza l'intervento umano) i contenuti non appropriati sui social network. Sarebbe una svolta, ma è una svolta ancora molto lontana dalla realtà.

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