Cambiamenti, ma anche compromessi. L’era post Steve Jobs si è rivelata, com’era facilmente immaginabile, un’epoca estremamente complessa per l’azienda, ritrovatasi senza punto di riferimento proprio nel suo momento di maggior splendore. Apple era Apple perché si affidava a dei valori ben precisi che mettevano nelle mani dei consumatori alcuni tra i prodotti più belli, funzionali e innovativi del mercato. Ma ora non è più così. O meglio, non lo si può dire di tutto ciò che viene prodotto dall’azienda di Cupertino. Che ora è scesa a compromessi.
Ieri, quasi in sordina, è stato lanciato il primo battery case ufficiale per iPhone 6 e 6S; si tratta di una custodia in grado di ricaricare lo smartphone grazie ad una batteria interna “nascosta” nel case, che però provoca una protuberanza nel retro del prodotto e ne aumenta le dimensioni per far spazio ad un connettore lightning aggiuntivo e agli inevitabili nuovi componenti interni. Un compromesso, appunto, che mette nelle mani degli utenti un prodotto in grado di allungare la durata della batteria, ma anche di distruggerne ogni valore estetico. Ma Apple non era riconosciuta per i compromessi: l’azienda del maniaco della precisione Jobs non cercava soluzioni facili, ma aggirava i problemi spingendo sempre più in là ciò che era il limite del possibile. Generava nuovi segmenti di mercato, creava prodotti nuovi e innovativi e li racchiudeva in design semplici ed eleganti.
La custodia lanciata ieri è solo l’ultimo di una serie di prodotti che si discostano da questa linea e abbracciano l’idea che l’importante sia fornire agli utenti ciò di cui hanno bisogno, senza troppi sforzi. Un po’ come a dire che loro ci hanno provato, ma alla fine quello era il prodotto migliore realizzabile. Apple ha cominciato ad applicare questo modo d’agire non tanto ai suoi prodotti principali – che offrono sempre una qualità molto alta – quanto agli accessori che li accompagnano. È questo il caso, per esempio, dell’iPad Pro; un dispositivo che per essere sfruttato al meglio necessita di due accessori, l’Apple Pencil e la Keyboard Cover. La ricarica della prima richiede di collegarla direttamente al connettore lightning posto alla base dell’iPad, dove resta attaccata in posizione precaria, mentre la cover con tastiera presenta costantemente una protuberanza nel momento in cui viene chiusa sullo schermo. Sono elementi forse poco importanti, ma che racchiudono ed esemplificano le scelte della nuova amministrazione.
Come lo fa il nuovo Magic Mouse 2, il primo senza necessità di pile stilo ma la cui ricarica richiede di collegare un cavo al connettore posto sulla base del dispositivo. Il risultato è un prodotto che durante la ricarica ricorda un personaggio dell'opera kafkiana. In realtà anche eliminare da queste critiche i prodotti principali sarebbe sbagliato. Basta guardare il design sporgente della fotocamera del nuovo iPhone 6: appoggiandolo su una superficie piana fa "ballare" l'intero smartphone. Un dettaglio forse da poco, così come lo sono quelli legati agli accessori – dopotutto non allontanano dall'acquisto di un prodotto in ogni caso valido – ma che rappresentano proprio quei compromessi che Steve Jobs e Apple hanno sempre respinto con forza, aggirando i problemi e ricercando una sorta di irraggiungibile perfezione. Una ricerca che ora pare essersi (in parte) interrotta.