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Opinioni

Così Pete Frates ha contribuito alla ricerca contro la SLA con la sua Ice Bucket Challenge

Considerata da alcuni come una semplice goliardata, l’Ice Bucket Challenge è nata con lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica e di raccogliere fondi destinati alla ricerca contro la SLA. Uno scopo tanto importante quanto difficile da realizzare, che in poco tempo è riuscito a far entrare nelle casse delle associazioni di ricerca quasi 80 milioni di dollari.
A cura di Dario Caliendo
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Pete Frates, l'ex giocatore di baseball ed inventore della Ice Bucket Challenge, ha perso la sua battaglia contro la SLA ed è morto a soli 34 anni. Aveva lanciato la famosa sfida, diventata poi virale, proprio per raccogliere fondi per la ricerca contro questa bruttissima patologia neurogenerativa, dopo che nel 2012 si era sottoposto ad una lunga serie di esami a seguito di un infortunio dal quale non riusciva a guarire, ed aveva scoperto di essere malato di SLA.

Come (e perché) è nata

Come tutti i fenomeni diventati virali sui social network, molte delle persone che parteciparono alla Ice Bucket Challenge, la videro solo come un'occasione di creare un contenuto video divertente e di diventare parte della virilità del fenomeno. In realtà però, i video nei quali i partecipanti venivano ricoperti di una cascata di ghiaccio sono nati con uno scopo ben più importante con il quale, il suo inventore, voleva sensibilizzare l'opinione pubblica e raccogliere fondi a favore della ricerca contro la SLA.

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Nata in alcuni college degli Stati Uniti con il nome di Cold Water Challenge, inizialmente la sfida prevedeva una scelta radicale per il protagonista: tuffarsi in una piscina di acqua gelida, oppure donare soldi alla ricerca.

Ma come tutte le campagne di successo che coinvolgono anche (e soprattutto) un gran numero di personaggi famosi, anche la Ice Bucket Challenge fu accompagnata da una lunga serie di critiche al suon di "non è così che si aiuta la ricerca", e identificando la partecipazione alla competizione come un modo per far parlare di sé. In America lo chiamano slacktivism, ossia l'attivismo abulico di chi parla molto ed agisce poco.

Una critica in effetti piuttosto logica, spinta anche dall'errore commesso da alcuni VIP che hanno deciso di partecipare alla sfida dimenticandosi di specificare ai propri fan il motivo del loro gesto, creando così una sorta di reazione a catena composta da milioni di video pubblicati dalle persone comuni, che non sono stati accompagnati da una campagna di sensibilizzazione per la ricerca.

I numeri della IBC

Insomma, mai come nel caso della Ice Bucket Challenge il mondo si è posto una domanda ben precisa, ossia se conta più la solidarietà o il mettersi in mostra facendo pubblicità. I numeri però, nel tempo hanno smentito tutti i più critici: stando a quanto si legge in un'analisi realizzata da Iconsquare, dal 15 luglio al 17 agosto 2014, sono stati oltre tre milioni i post su Twitter accompagnati dall'hashtag #icebucketchallenge, e se si considera che più della metà di questi tre milioni sono stati postati con l'hashtag #alsicebucketchallenge, è chiaro che forse quella definita da molti una semplice ragazzata era in realtà un vero gesto di solidarietà.

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E ai critici che accusavano i partecipanti di slacktivism ha risposto proprio la ALS Association, ossia l'ente al quale vengono devoluti i proventi delle donazioni e che, già a fine agosto 2014, annunciò un aumento delle donazioni del 3000%, con una raccolta fondi di 79.7 milioni di dollari in donazioni rispetto ai 2,5 milioni dell'anno precedente.

Insomma, chiunque definisca la Ice Bucket Challenge come il primo gesto di solidarietà virale, non avrebbe alcun torto. E a sottolinearlo è anche un report pubblicato da Facebook circa l'attività nel social relativa alla Ice Bucket Challenge, nel quale è stato sottolineato che 28 milioni di utenti hanno pubblicato video inerenti al fenomeno, 2.4 milioni dei quali si suppone abbiano donato almeno 10 dollari a testa: facendo i dovuti conti (in via del tutto generale, sia chiaro) pare che almeno dieci milioni di dollari siano stati destinati alla ALS Association grazie al social di Zuckerberg.

L'Italia è stata le 10 nazioni più attive: i video più visti

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Nonostante l'Ice Bucket Challenge sia stato un fenomeno soprattutto statunitense con il 62% di video pubblicati, il cui epicentro è stato proprio Boston, la città dove viveva Peter Frates, in maniera sensibilmente minore anche l'Italia è stata parte di questo fenomeno globale, posizionandosi con un 2% all'ottavo posto della classifica in cui vengono elencati i Paesi più attivi.

Nel Bel Paese, l'AISLA (l'associazione che si occupa di ricerca e assistenza contro la SLA) ha raccolto 216.000 euro in donazioni, molti provenienti da personaggi famosi, ognuno dei quali fu invitato a donare 100 euro. Certo, è una cifra ben inferiore a quella statunitense, ma è comunque un buon obiettivo raggiunto.

I video della Ice Bucket Challenge più visti e con i quali si sono generate più interazioni sono tre e vedono due partecipanti d'eccezione: Leo Messi, il cui video ad oggi ha superato il milione di like, e Katy Perry che a sua volta nominò Madonna.

E, probabilmente, alla domanda che si sono posti in molti sul fatto se l'ICB abbia davvero aiutato la ricerca contro la SLA o sia stata soltanto un fuoco di paglia, probabilmente non c'è risposta. Fatto sta, però, che quasi 80 milioni di dollari provenienti dalle tasche di personaggi famosi e cittadini comuni sono stati destinati ad un ente sulla ricerca che ne aveva bisogno.

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