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Rapporto Ocse sull’analfabetismo digitale, l’Italia è ancora il Paese di Gogol

Metà della popolazione italiana non usa il computer, con percentuali in salita se si osservano gli ultra quarantacinquenni. Una grossa fetta della popolazione è così esclusa dal mondo del lavoro digitale e per il resto è l’entertainment ad essere dominante. Ma di chi è la colpa di questo ritardo?
A cura di Angelo Marra
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Italiani popolo di santi, navigatori ed analfabeti digitali. Il rapporto dell'Ocse sul nostro paese è impietoso: metà della nostra popolazione non possiede neanche il computer e per chi ce l'ha il suo utilizzo è spesso limitatissimo e anche sbagliato. Anche se le cifre che riguardano gli analfabeti totali sono in calo (circa 782.000 persone ancora non sanno né leggere né scrivere, cosa comunque scandalosa in un paese civile nel 2011) l'Italia vanta percentuali di ignoranti digitali che sono davvero preoccupanti. A salvare la media sono i più piccoli, cresciuti ormai nell'era informatica, ma è la fascia over 45 a destare maggiore preoccupazione. Il rischio infatti è una informatizzazione veloce delle nuove leve che potrebbe portare a breve ad un gap generazionale molto pericoloso, con una grossa fetta della popolazione completamente esclusa dal mondo 2.0.

A condannare il nostro paese ad essere sempre fanalino di coda quando si parla di tecnologia, intervengono numerosi fattori di cui il primo è sicuramente di carattere politico. La situazione italiana è infatti contagiata da una rischiosa anomalia; il tanto discusso conflitto d'interessi che investe la persona del Presidente del Consiglio (uscente), oltre ad aver pesato sulla formazione di una coscienza politica pubblica, ha caratterizzato le scelte del nostro esecutivo nel penalizzare lo sviluppo della rete e delle sue infrastrutture a favore del mezzo televisivo, in nome di interessi che sono facilmente identificabili.

Delle tanto decantate “tre i” del programma passato di Berlusconi, infatti, non è rimasta alcuna traccia e di certo la rete non è stata né la prima né l'ultima delle preoccupazioni del Governo. L'ultima conferma in tal senso è stata la recente sottrazione degli 800 milioni di euro da destinare alle infrastrutture per la banda larga, con buona pace di quegli utenti ancora esclusi dai giochi a causa del digital divide. D'altro canto la rete offre un'alternativa molto più valida, vasta, personalizzata e libera rispetto al tradizionale tubo catodico, quanto basta per renderla nemica naturale di quanti ambiscono al controllo dell'informazione e a plasmare le persone secondo modelli prestampati.

Nell'ambito scolastico poi, la situazione è ancora più tragica. Nonostante siano le fasce più piccole quelle dove internet e le nuove tecnologie trovano maggior spazio (nonché quelle da formare per il mercato del lavoro di domani), le “innovazioni” introdotte dal Ministro Gelmini, dal maestro unico all'uso del grembiule, hanno chiaramente indicato come anche l'istruzione sia orientata verso modelli medioevali e in direzione opposta alla modernità.

Ecco quindi che a sollevare la media ci pensa Facebook e in generale i social network, che hanno svolto e svolgono in Italia quello che un tempo fu il ruolo della televisione. La loro diffusione ha sicuramente avuto il pregio di avvicinare molte persone alla tecnologia, ma spesso in maniera sbagliata o incompleta.

Il problema è che mentre almeno la prima fase dell'era televisiva aveva una connotazione didattica (alla tv si deve una buona parte dell'alfabetizzazione in Italia), l'avvento di un certo tipo di internet – come Facebook – ha avuto per analogia lo stesso impatto avuto sulla popolazione dell'arrivo delle tv commerciali. In parole povere l'ignoranza informatica regna sovrana e chi utilizza la rete molto spesso lo fa solo a scopo di semplice intrattenimento.

Persone che condividono tutta la loro vita su Facebook, postano, taggano (spesso anche in mobilità) ma poi sono ridotte a code negli uffici postali per fare un versamento. Manca quindi una diffusione della rete intelligente, utile e non solo ricreativa, e di sicuro grossa parte delle colpe in tal senso è da imputare ai governi che negli ultimi anni hanno dimostrato una miopia in questa direzione, spinti da interessi lobbistici e personali.

Non si tratta poi soltanto di carenza infrastrutturale, come ha tragicamente fotografato l'ultimo rapporto Akamai sulle connessioni in Europa; anche la questione dei costi risulta fondamentale. In questo caso la definizione di Repubblica delle Banane per il nostro paese calza a pennello, con tariffe per le connessioni fisse che sono doppie o triple rispetto alle altre nazioni europee, anche se si tratta degli stessi gestori telefonici; oppure per quello che riguarda l'acquisto di computer o palmari, a costi sempre più alti rispetto ai nostri vicini del vecchio continente, come ad esempio il nuovo iPhone 4S, che in Italia costa incomprensibilmente 50 euro in più rispetto a Francia e Inghilterra.

Il rapporto Ocse ha però il pregio di smentire la convinzione che sia l'italiano medio in qualche maniera refrattario o titubante nei confronti delle nuove tecnologie; l'indagine ha infatti monitorato anche l'approccio che gli stranieri nel nostro paese hanno nei confronti della rete, tracciando percentuali praticamente identiche rispetto a quelle dell'italica progenie.

È chiaro quindi che il problema sia il “sistema Italia” o meglio la mancanza di un'idea di progresso tecnologico che ci allontana sempre di più dal resto del mondo e che la classe politica attuale non ha saputo e voluto comprendere. D'altro canto il confronto con gli altri paesi parla chiaro; mentre in Finlandia l'accesso alla rete per tutti i cittadini è garantito addirittura dalla legge, in Italia lo sviluppo digitale è affidato ad una gerontocrazia alla “Gogol”. Se tutto va bene, siamo rovinati.

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