"Matteo Renzi ha parole per tutto, ma per Telecom soltanto un colpevole silenzio". È la frase d'accompagnamento dell'hashtag #SaveTelecom, che da qualche giorno ha cominciato a circolare su tutti i social network. Non è un caso: oggi sarà presentato il piano Enel Open Fiber per portare la fibra ottica in 224 città italiane entro 3 anni, un progetto con il quale Renzi affida la banda larga nelle mani di Enel in un silenzio generale da parte di Telecom e di molti sindacati, nonostante il rischio esuberi nell'azienda guidata da Flavio Cattaneo sia evidentemente alto. Nessuno sembra notare questo dettaglio, a parte i dipendenti interessati che vedono sempre più concreto un futuro incerto e in declino.
La scelta di affidare il piano da 2,5 miliardi di euro – di cui una fetta composta da investimenti privati – ad Enel, comporta di fatto l'isolamento di Telecom da aree importanti del paese, comprese zone dove l'azienda che dal prossimo 12 aprile sarà sotto la guida di Cattaneo – per ora solo nominato, grazie anche alla spinta di Vivendi, prima azionista – opera ed è già presente con una parziale infrastruttura. Come Bari e Cagliari, dove l'arrivo di Enel potrebbe mettere in grave difficoltà Telecom. Eppure, anche in questo scenario pericolosamente incerto, l'azienda non ha di fatto opposto resistenza, nonostante si stia delineando un futuro nel quale il suo compito principale, ovvero la posa dell'infrastruttura, viene appaltato ad un'altra realtà.
Ciò che preoccupa i dipendenti, oltre alla scarsa trasparenza denunciata sui social network, è proprio la possibilità di un grande numero di esuberi. Non solo perché il piano nelle mani di Enel potrebbe di fatto togliere spazio a Telecom, costringendola a ridimensionare il settore rete che oggi conta circa 15 mila dipendenti, ma anche per la fama del nuovo ad Cattaneo, da sempre dipinto come il manager dei tagli estremi, soprattutto in situazioni complesse come quella di Telecom, che oggi vede già circa 30 mila lavoratori in solidarietà. Ma anche per le continue pressioni che Vivendi sta già facendo alla nuova amministrazione, che agli iniziali tagli da 600 milioni di euro deve ora aggiungere un ulteriore miliardo di euro entro il 2018.
Da qui l'hashtag #SaveTelecom, spinto non tanto dall'azienda o dai sindacati quanto dai dipendenti che in questa mossa non vedono uno sbocco positivo per la loro posizione. Affidare il piano da 2,5 miliardi di euro ad Enel può comportare la perdita, da parte di Telecom, del vantaggio sulla rete nazionale, unico punto davvero forte del suo lavoro e, soprattutto, elemento in grado di controbilanciare il suo debito fungendo da assicurazione. Se davvero il governo Renzi procederà con l'appaltamento del piano ad Enel – e se lo farà senza richiedere le competenze di Telecom maturate nel corso degli ultimi cinquant'anni – l'azienda potrebbe trovarsi in grosse difficoltà, tanto da poter essere obbligata a dover eliminare del tutto il settore rete. Lasciando a casa i 15 mila dipendenti interessati.
A preoccupare ulteriormente è anche il cambio di barricata di Stefano Paggi, ex capo del settore rete di Telecom che proprio a fine marzo è approdato in Enel per aiutare lo sviluppo di Enel Open Fiber. Una decisione che in molti hanno visto come l'abbandono di una nave che sta per affondare. Certo, c'è sempre la possibilità che Renzi possa giocarsi la doppia carta, andando prima ad affidare il piano ad Enel per poi salvare il settore rete e, di conseguenza, i 15 mila a rischio. Un'eventualità sulla quale i dipendenti non fanno troppo affidamento, anche perché nonostante hashtag, lettere – 1.500 inviate dai lavoratori a Palazzo Chigi – e tweet, dal governo e da Telecom non arriva risposta. "Tim come Alitalia” scrive un utente su Twitter. "Non si distrugge un azienda che ha aiutato a far crescere il paese offrendo servizi". L'ex monopolista rischia così un futuro tragico proprio a causa del suo stesso business.