Sergey Brin, a rischio la libertà in rete, anche in Italia
“Stiamo assistendo ad un massicio attacco alla libertà del Web. I governi iniziano a realizzare quanto forte sia questo medium nell'organizzare le persone e stanno cercando di reprimerlo in tutto il mondo, non solo in posti come Cina e Nord Corea; vediamo leggi negli Stati Uniti, in Italia e in tutto il mondo”. Sergey Brin ha le idee chiare su ciò che sta condizionando il rapporto tra istituzioni e il mondo sfuggevole di internet, con le prime sempre più impegnate nel cercare di imbavagliare, regolamentare e limitare il potere del web. Non occorre viaggiare migliaia di chilometri fino ad arrivare alle dittature asiatiche o mediorientali, anche nella vecchio continente e negli Usa la libertà della rete è costantemente messa a rischio da leggi come l'ACTA, il PIPA, il SOPA e tutti gli altri dispositivi orientati alla sola tutela degli interessi delle major discografiche e cinematografiche oppure alla limitazione di quelle che sono le caratteristiche che rendono internet inviso agli occhi delle autorità; Brin cita anche l'Italia quando parla di paesi in cui la libertà della rete è a rischio (il riferimento è probabilmente al nuovo regolamento sul diritto d'autore che l'AgCom si appresta a varare).
La posizione di Brin fin qui è ampiamente condivisibile e le battaglie citate dal fondatore di Google sono quelle che hanno animato proteste e manifestazioni in tutto il mondo. Ma nell'intervista del giovane miliardario emergono altri elementi che disegnano un quadro diverso, con BigG nella veste, poco credibile in verità, di “vittima” non solo delle limitazioni da parte delle autorità di alcuni paesi come la Cina (dimenticando però tutte le occasioni in cui il “libero” motore di ricerca si è piegato agli interessi dei singoli governi pur di non perdere l'accesso al relativo bacino di utenti) ma anche dello strapotere di alcuni big della rete come Facebook ed Apple (casualmente i due principali rivali di Google sul mercato).
Palo Alto e Cupertino infatti, secondo Brin, adotterebbero degli standard “chiusi”, effettuando uno stretto controllo su ciò che è possibile ospitare sulle proprie piattaforme. “Google”, sostiene Brin, “non sarebbe mai potuto nascere nell'epoca di Facebook. Bisogna giocare secondo le loro regole, che sono davvero restrittive. Il tipo di ambiente che abbiamo sviluppato in Google, il motivo per cui siamo stati in grado di sviluppare un motore di ricerca, era che il web era uno spazio aperto. Troppe regole finiscono per soffocare l'innovazione”. Inutile dire che il giovane informatico glissa pesantemente sulle innumerevoli cause intentate contro BigG per abuso di posizione dominante e per aver sfruttato il proprio strapotere per imporre proprie regole (basti ricordare la querelle con l'Europa a proposito della nuova Privacy Policy) puntando invece il dito contro i suoi principali rivali, ovvero Apple e Facebook.
Brin sa bene però che l'aura angelica di Google è un ricordo ormai lontano e il colosso di Mountain View non è esente da errori, per risolvere i quali, a detta del fondatore, l'azienda si sta adoperando con estremo impegno. Emblematico il passaggio dell'intervista in cui Brin afferma “Se avessimo una bacchetta magica e non fossimo soggetti alle leggi americane, sarebbe grandioso”, una posizione comprensibile da parte del fondatore di una delle aziende che ha battuto ogni record in termini di problemi legali, denunce e multe salatissime. Sembra che nella “lotta per la libertà della rete” Google abbia qualche discreto interesse personale.