Social Network, tutti contro Google. Un bookmarklet svela i trucchi di Mountain View
I social network e l'intero mondo del web 2.0 sono considerati unanimemente il futuro della rete. Un mercato enorme che conta oltre un miliardo di persone, se si sommano gli utenti delle diverse piattaforme esistenti; conquistarlo e riuscire a rimanere a galla è la conditio sine qua non per sopravvivere, l'epilogo di MySpace o di Yahoo! è sempre lì a ricordare che fine fa chi non è in grado di stare alle regole del gioco.
Fino a pochi mesi fa il panorama dei social network sembrava essere arrivato ad una fase di equilibrio; a Facebook era toccato il ruolo di dominio tra le piattaforme generiche, Twitter godeva della sua “piccola” ma potente cricca e gli altri social network cercavano in qualche modo di distinguersi specializzandosi in diversi settori, dai viaggi alla musica e così via. Il rapporto tra il mondo social ed i motori di ricerca (che fatta eccezione per la microscopica fetta di Bing, significano in una sola parola Google) non era differente da quello di qualsiasi altra realtà presente in rete e niente e nessuno, almeno nel breve termine, sembrava essere in grado di mutare questo equilibrio.
Ma i piani di Mountain View erano diversi. Da qualche tempo si vociferava di un interesse di BigG per il campo dei social network, un interesse che non poteva non preoccupare la concorrenza alla luce dello strapotere al limite del monopolio che Google vantava e vanta tutt'ora nel campo dei motori di ricerca.
Se Google da vita ad una propria piattaforma, questa sarà avvantaggiata nei suoi risultati di ricerca? Giammai, tranquillizzano a Mountain View, i risultati rifletteranno ciò che l'intera rete offre e saranno ordinati per popolarità come avviene tradizionalmente per ogni ricerca.
I timori però si trasformano presto in realtà. Arriva Google+ e fin da subito cominciano i primi problemi. Twitter viene immediatamente fatto fuori dai risultati di ricerca, “mancato rinnovo del contratto di partnership” secondo BigG, una mossa spietata per spazzare via la concorrenza secondo il sito di microblogging.
Una tecnica del genere con Facebook sarebbe inutile oltre che controproducente, ma anche con Palo Alto i rapporti si mantengono nervosi e non mancano occasioni per punzecchiarsi a vicenda. Intanto dopo il boom iniziale di G+ comincia una fase di calo; gli utenti si iscrivono ma a quanto pare utilizzano poco o nulla la piattaforma. BigG allora compie un altro passo molto criticato dalla concorrenza: chiunque utilizzi Gmail, il popolarissimo servizio mail di Google, ha automaticamente un proprio profilo su G+.
Un automatismo inutile sul piano della ricchezza dei contenuti nella piattaforma, ma indubbiamente valido per una semplice conta numerica. La crescita degli account grazie a questo escamotage è garantita, anche se migliaia di profili in realtà sono totalmente vuoti ed inutilizzati. I numeri sono ben lontani da quelli del leader di Palo Alto, ma Google è un gigante che fa paura e Facebook è costretto più volte a rincorrere l'avversario sulle nuove funzioni della piattaforma (un esempio su tutti, HangOut).
Comincia così una “guerra fredda” tra social network che vede BigG da solo contro tutti. La battaglia si sposta momentaneamente sul piano dell'innovazione e soprattutto contro Facebook la sfida è tutta a colpi di tool e servizi aggiuntivi.
Qualche settimana fa lo scenario cambia nuovamente. Google introduce la “Ricerca Sociale” e succede il finimondo. Quello che per Mountain View è il tentativo di rendere ancora più personalizzata la ricerca in rete si trasforma per la concorrenza in una semplice promozione delle pagine di G+ nei primi risultati di ricerca.
Uno sfruttamento della propria posizione di leader nel campo del web search che manda su tutte le furie gli avversari. Persino Twitter abbandona il suo tradizionale basso profilo per attaccare pubblicamente Google e la sua “innovazione” con una serie di comunicati al vetriolo.
A Palo Alto la reazione è più cauta, BigG è un nemico troppo forte per un attacco frontale, anche perchè Facebook ha i suoi scheletri nell'armadio e sollevare un polverone rischierebbe di risultare addirittura controproducente.
L'unica possibilità per rispondere a questo tipo di mossa è ricorrere al bene che ha maggior valore per qualsiasi piattaforma social: la fiducia degli utenti. Google ha costruito sapientemente la propria immagine pubblica al celebre motto “Don't be evil”, cercando di mostrarsi come un'entità buona che, in maniera totalmente gratuita, offre ai navigatori una serie infinita di servizi sempre nuovi ed aggiornati.
Nel campo dei motori di ricerca poi, BigG ha conquistato il primato assoluto garantendo ai visitatori risultati quanto più aderenti alla rete e a quello che può interessare gli utenti.
Ma se ciò non fosse più vero? Se i risultati del motore di ricerca più utilizzato al mondo fossero pesantemente viziati da meri interessi commerciali dello stesso Google?
Dimostrare questa teoria è il principio alla base di Focus on the User, un nuovo servizio che punta a dimostrare come BigG favorisca le pagine di Google+ nei risultati di ricerca, anche se queste non rispondono alle esigenze degli utenti.
Sviluppato da un team di ingegneri di Facebook, Twitter e MySpace, Focus on the User è un semplice bookmarklet da aggiungere alla barra del browser, compatibile con Chrome, Firefox e Safari (non con Internet Explorer).
Quando effettuiamo una ricerca, dopo che Google ci ha mostrato i risultati è possibile cliccare sul pulsante nella barra per ripetere il searching utilizzando l'algoritmo tradizionale di Google, quello che ordina i siti sulla base della reale popolarità in rete, senza alcun vantaggio per nessun sito.
Il video dimostrativo è più che eloquente. Nel filmato viene inizialmente ricercato su Google il nome di Jamie Oliver, il celebre cuoco inglese. Dopo il sito ufficiale che compare in testa ai risultati, BigG offre come seconda voce il profilo G+ di Oliver, mentre quello di Twitter compare molto più in basso.
Ad una verifica si scopre però che lo chef britannico non utilizza la sua pagina di Google+ da quasi due mesi, mentre il profilo sulla piattaforma di microblogging risulta aggiornato poche ore prima. Non solo, il numero di follower sul sito dell'uccellino è di gran lunga superiore agli amici presenti nelle Cerchie del social network di Google; in poche parole Jamie Oliver è di gran lunga più popolare su Twitter che su G+.
I risultati del motore di ricerca di Mountain View pertanto non rispettano la vera realtà della rete ma tendono inevitabilmente a promuovere i servizi e le pagine interne di Google, anche se queste non hanno la popolarità sufficiente per apparire in testa alla ricerca.
Una semplice promozione di se stesso da parte di Google quindi, non certo quel servizio super partes tanto sbandierato da BigG. Un “azzardo” tale da coalizzare la concorrenza, con Facebook, Twitter e MySpace uniti nel denunciare l'abuso da parte di Mountain View.
La rete intanto si spacca, tra chi critica il motore di ricerca per l'ennesima “furbata” e chi invece ritiene legittimo che BigG promuova sul suo sito i propri servizi.