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SPECIALE MEGAVIDEO, tutti i retroscena della chiusura

Da Kim “DotCom”, l’hacker miliardario con la passione per le auto di lusso, ad Alicia Keys, moglie del CEO di Megavideo e sostenitrice convinta del servizio, ecco il mondo che si nasconde dietro al popolare sito di file-hosting chiuso per ordine dell’FBI.
A cura di Angelo Marra
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Come molti di voi ormai già sapranno, la polizia federale degli Stati Uniti ha ordinato la chiusura di Megavideo, Megaupload e tutti i servizi a loro associati, arrestando il fondatore ed alcuni membri dello staff.

Si tratta certamente di uno dei colpi più duri messi a punto dalla giustizia nei confronti di un servizio popolarissimo, visitato ogni giorno da oltre un miliardo di persone. Ma sono molti i segreti che si nascondo dietro a questa operazione ed i protagonisti di questa storia sembrano usciti da un film di Hollywood.

Kim Schmitz

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Se la storia di Megavideo fosse un film, il protagonista principale sarebbe sicuramente Kim Schmitz, conosciuto anche come Kim DotCom (oltre ad un'altra mezza dozzina di soprannomi), un personaggio molto popolare in rete ma con una fedina penale degna di Frank Abagnale Jr.

Kim è infatti un ex (si fa per dire) hacker con alle spalle una lista di denunce per reati informatici lunga un chilometro: furto di dati bancari e di carte di credito, hacking, insider trading, appropriazione indebita, frode informatica e ricettazione. Quanto basta a Schmitz per farsi qualche anno di galera, all'FBI per metterlo in cima alla lista nera e al web per trasformarlo in una specie di eroe.

Sì perchè nel frattempo Kim smette i panni dell'hacker e si trasforma in imprenditore, fondando Megaworld, l'impero grazie al quale si assicura guadagni enormi ed altrettanta popolarità. Megaupload diventa in poco tempo il 13° sito più visitato al mondo e i guadagni pubblicitari sono a sei zero.

Schmitz non è certo un personaggio mite e riservato. Grande amante delle auto di lusso, possiede una collezione di Mercedes (tra cui una Brabus SV12, ribattezzata “Megacar”, con la quale ha vinto il rally Gunball 3000 nel 2001), una Maserati del 2010 e persino una Rolls Royce del 2008.

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Un personaggio che ama far parlare di sé e soprattutto a cui piace provocare. Poche settimane fa, pur essendo pienamente consapevole dell'illegalità dell'attività di Megaupload, Kim aveva fatto pubblicare un annuncio sul sito che diceva:

 Mega non ha nulla da temere. Il nostro business è legittimo, e protetto dalla DMCA (digital millennium copyright act) e da altre leggi in giro per il mondo. Lavoriamo con i migliori avvocati e stiamo alle regole. Prendiamo seriamente i nostri obblighi legali. Abbiamo molte persone che ci supportano.

La provocazione di Schmitz si è trasformata però in una sorta di epitaffio sulla tomba di Megavideo, a meno di nuovi colpi di scena.

Le accuse

La chiusura di Megavideo, com'è facile immaginare, è legata alla violazione dei diritti d'autore legati ai contenuti ospitati dal servizio. Secondo l'accusa la società avrebbe guadagnato oltre 175 milioni di dollari grazie a questa attività illegale, proventi derivanti dalle pubblicità presenti sul sito e dagli abbonamenti a pagamento (per superare i famigerati “72 minuti” di limite per i video, anche se l'ostacolo era facilmente aggirabile).

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Il danno per le major discografiche e cinematografiche, sempre secondo i primi conteggi, ammonta all'incirca a 500 milioni di dollari per i mancati profitti derivati dalla distribuzione di film anche prima del loro arrivo nelle sale cinematografiche.

I reati contestati sono cospirazione a scopo di racket, cospirazione a scopo di violazione di copyright, cospirazione a scopo di riciclaggio di denaro sporco e violazione della legge sul copyright. Ce n'è abbastanza per arrivare fino a 60 anni di carcere, più una multa incalcolabile e le manette sono scattate, oltre che per Kim Schmitz, anche per Finn Batato, Bram van der Kolk e Mathias Ortmann, mentre Sven Echternach, Andrus Nomm e Julius Bencko (gli altri membri del team destinatari anche loro dell'ordine di arresto) risultano attualmente latitanti.

Megaupload Song, Alicia Keys e la guerra contro la Universal

Pochi mesi prima della chiusura, Kim Schmitz ha voluto realizzare un video promo dell'azienda con il quale pubblicizzare il servizio e mostrare la popolarità raggiunta. Per fare ciò si è avvalso della partecipazione di star internazionali del calibro di P. Diddy, Snoop Dogg, Chris Brown e Alicia Keys, pubblicando il video della canzone “Megaupload Song” su YouTube.

Il video in pochi minuti è schizzato in testa alle classifiche, cosa che naturalmente ha fatto imbufalire le major cinematografiche e discografiche che vedevano in Megaupload il loro nemico numero uno. Tra queste la più attiva nel cercare di boicottare la canzone è stata la Universal, che ha ordinato a YouTube di rimuovere immediatamente il video sostenendo che alcuni degli artisti che vi apparivano erano sotto contratto proprio con la major.

La risposta di Google è stata inizialmente quella di rimuovere il filmato, un atteggiamento cautelativo ormai adottato comunemente da BigG, ma rivisti gli accordi interni tra YouTube e la Universal il video è tornato quasi subito in rete. Secondo Google infatti “i nostri partner non hanno il diritto di eliminare video da YT a meno che non posseggano i diritti su di essi o siano esibizioni dal vivo sottoposte ad accordi esclusivi con gli artisti: è questo il motivo per cui l'abbiamo ripristinato”. Non certo il caso di Megaupload Song e la Universal è stata costretta ad arrendersi.

Uno dei nomi più famosi tra quelli che hanno collaborato alla realizzazione della canzone è senza dubbio quello di Alicia Keys, la nota cantante e attrice americana. Megaupload Song non è però l'unico legame tra la Keys e l'impero di Schmitz. Suo marito è infatti Swizz Beatz, personaggio noto come rapper ma allo stesso tempo CEO di Megaworld, la holding del gruppo. Nonostante la posizione di comando nell'azienda, Beatz non risulta neanche indagato dall'FBI, anche se il suo portavoce ha preferito non commentare la notizia.

Il caso SOPA

Secondo una massima di François de La Rochefoucauld, “il caso e gli umori governano il mondo”. Sarà quindi un “caso” se l'ordine di arresto da parte dell'FBI sia arrivato il giorno successivo allo sciopero online contro il SOPA (Stop Online Piracy Act), la nuova legge liberticida al vaglio del Congresso che dovrebbe regolamentare la questione dei diritti d'autore sui contenuti ospitati in rete.

La manifestazione su internet, che ha coinvolto nomi del calibro di Google, Wikipedia e tanti altri big della rete ma soprattutto migliaia di utenti, ha immediatamente sortito l'effetto desiderato, con numerosi sostenitori della legge che hanno ritirato il loro appoggio in Senato e persino Obama che si è schierato più o meno convintamente contro la proposta.

Il SOPA è stato presentato dal repubblicano texano Lamar Smith ma è stato sostenuto economicamente dalle major discografiche e cinematografiche e punta proprio a colpire gli ISP come Megavideo che ospitano contenuti illegali; è probabile quindi che lo smarcamento di numerosi senatori, con il conseguente rinvio della discussione della legge, sia stato mal digerito dalle case di produzione ed è altrettanto probabile che queste abbiamo voluto fare una prova di forza contro uno dei simboli principali della pirateria online.

Non si tratta di un'ipotesi pellegrina, l'evidenza di questo “caso” è stata tale che il Dipartimento di Giustizia si è affrettato a chiarire al Wall Street Journal che l'intervento contro Megavideo non ha nulla a che fare con la questione del SOPA , ma la tempistica suggerisce inevitabilmente riflessioni differenti.

Le accuse al Dipartimento di Stato

Un'altra questione che sicuramente farà molto discutere è legata alla nazionalità delle persone indagate. Gli ordini di arresto sono stati applicati dalla polizia di Nuova Zelanda e Hong Kong (luoghi in cui si trovavano i personaggi coinvolti nell'inchiesta) sotto indicazione però dell'FBI, dopo la denuncia delle major statunitensi. Eppure nessuno degli indagati è americano né risulta residente negli USA, compresa la sede legale dell'azienda.

Soprattutto nelle controversie internazionali gli americani sono noti per usare i guanti bianchi con i loro concittadini; sulla questione di Megavideo la reazione è stata durissima, con il tribunale che ha persino negato l'uscita su cauzione dei tre arrestati mentre alcuni si interrogano sulla legittimità dell'intervento delle autorità americane.

 Anonymous e le reazioni della rete

La notizia della chiusura di Megaupload, inutile dirlo, è rimbalzata da una parte all'altra del globo in pochissimi secondi. Tale era la popolarità del servizio da infiammare anche Twitter, dove l'hashtag #megaupload è risultato il più popolare della notte. Naturalmente il genere di tweet pubblicati è quasi sempre lo stesso, a partire da chi si “autodenuncia” per aver utilizzato più volte il servizio fino a proporre “72 minuti di silenzio” per ricordare la scomparsa di uno dei servizi più amati su internet.

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Anche su Facebook naturalmente la notizia è stata condivisa migliaia di volte, basti pensare che solo la pagina italiana “Anche io uso Megavideo” ha superato nella notte i 145mila likes.

Tutti questi malumori espressi dalla rete non hanno lasciato indifferente Anonymous, il famoso gruppo di hacker sempre in prima fila nelle battaglie per la libertà in rete (e non solo).

Il team non ha perso tempo ed è immediatamente partita la rappresaglia. Grazie alla ormai consueta tecnica del Distributed Denial Of Service (DDoS) gli hacker hanno attaccato il sito del Dipartimento di Giustizia americano, a quello della Riaa, della Universal e dell'Mpaa mandandoli in tilt per diverse ore. Poco dopo l'inizio dell'attacco, il Dipartimento di Stato ha ammesso su Twitter di avere “problemi” su alcuni portali.

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