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La Cina punta a controllare Facebook?

Secondo Business Insider il Governo di Pechino sembrerebbe intenzionato a partecipare massicciamente all’IPO di Facebook. Un semplice interesse come venture capitalist del gigante asiatico o un tentativo di controllare il social network prima del suo ingresso nella più grande nazione del mondo?
A cura di Angelo Marra
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Il ruolo fondamentale dei social network nelle rivolte arabe degli scorsi mesi è stato ampiamente dibattuto; da una parte chi ha visto nella rete soltanto un buon modo di organizzarsi e di tenersi in contatto con le altre persone coinvolte nelle manifestazioni, per altri invece è stato uno strumento prima che organizzativo, di diffusione di informazioni, di dialogo libero, uno spazio all'interno del quale potersi esprimere senza che il clima di repressione voluto dai vari regimi potesse allungare il suo braccio violento.

Soprattutto per ciò che riguarda le dittature, ufficiali o silenti, che applicano al loro interno un tipo di informazione autarchica e controllata, i vari Twitter e Facebook sono stati un veicolo efficace per una maggiore consapevolezza degli eventi che occorrono al di fuori delle barriere geografiche, avvicinando realtà e idee fino a ieri apparse remote e lontane.

Certo, inutile dire che le sofferenze, le limitazioni delle libertà, l'asservimento forzato al giogo tiranno e tutte le pene patite da quei popoli sono stati la colonna portante delle manifestazioni nei diversi Paesi, ma questa volta grazie ad internet le eliminazioni mirate, le torture, e tutte le tecniche adoperate dalle varie dittature per tappare la bocca alle voci libere non sono riuscite a bloccare l'eco delle rivolte, consentendo agli ideali di libertà e giustizia di travalicare i confini e propagarsi nelle nazioni limitrofe e in tutto il mondo.

Contemporaneamente però i vari governi totalitari non sono certo rimasti a guardare e hanno “aggiornato” la loro filosofia repressiva ai nuovi strumenti adottati dai rivoltosi. Un esempio tra tutti è la Libia, dove in risposta alle rivolte nate per abbattere l'odiosa dittatura Gheddafi ha scelto di scollegare l'intera rete dal resto del mondo, rendendo le comunicazioni online estremamente difficili e possibili solo grazie ad alcuni interventi in stile hacker portati avanti dai ribelli.

C'è un Paese però che fin dalla prima diffusione di internet a livello mondiale ne ha subito intuito il potenziale “pericoloso”, adottando fin dal principio un atteggiamento di controllo serrato ed implacabile, la Cina. Come in tutti gli altri ambiti dove ha potuto esprimere il suo principio censorio, anche verso la rete la Repubblica Popolare ha applicato limitazioni uniche al mondo, con centinaia di blogger dissidenti arrestati (alcuni dei quali dissolti nel nulla) e oltre un miliardo di persone costrette a guardare il mondo esterno attraverso lo spesso filtro voluto dalle autorità.

I tentativi da parte dei colossi mondiali come Google e Twitter di penetrare la cortina di ferro cinese in un modo o nell'altro si sono conclusi in un nulla di fatto, quando per espressa opposizione del Governo di Pechino, quando per manifeste incompatibilità nella gestione della libertà di informazione, nonostante alcuni di questi big si fossero dimostrati più che disponibili a scendere a compromessi.

Per ciò che riguarda il rapporto tra la Cina e Facebook però, la questione diventa diversa. Come i suoi colleghi, anche il gigante di Palo Alto si è dovuto arrestare ai piedi della grande muraglia, osservando il più popoloso Paese del mondo senza poter mai mettere piede all'interno del suolo mandarino, ma la sua potenza economica lo ha inevitabilmente trasformato in un referente quasi obbligatorio, persino per le autorità cinesi. Una visita di qualche mese fa di Zuckerberg ad alcune aziende del luogo aveva già dato vita a numerosi rumors riguardo a qualche specie di accordo con il Governo, anche se l'inventore del social network aveva a più riprese fatto capire di non essere intenzionato a scendere ad alcun compromesso (forse alla luce della politica censoria già applicata autonomamente da FB).

Per le autorità cinesi si è prospettato così un dilemma di non poco conto: escludere la più grande rete sociale (che punta dritta al miliardo di utenti) dal proprio Paese o lasciare che il virus occidentale possa attaccare le strutture sociali così accuratamente tenute sotto controllo? La prima ipotesi rischia di diventare un'arma a doppio taglio, con una rete sempre più difficile da controllare a cui si aggiunge l'inevitabile attrazione nei confronti del proibito, un mix che potrebbe portare ad una diffusione sotterranea del social network molto più pericolosa e difficile da controllare da parte del regime. D'altro canto, pur godendo Zuckerberg di grande credito presso la popolazione cinese grazie alla sua storia di self-made man, la sua creatura è vista del Governo come un dannoso elemento “occidentalizzante” e quindi automaticamente poco gradito.

Come uscire da questo impasse? Per la Cina esiste una terza possibilità, forse un po' drastica e di difficile attuazione, ma sicuramente efficace, almeno in teoria: comprarsi Facebook. Quando si parla di grandi aziende, di concorrenza e di controllo del potere, il vecchio adagio “se non riesci a batterlo, fattelo amico” viene mutuato in “se non riesci a batterlo, compratelo” e il gigante asiatico sembra essere molto attratto da questa ipotesi. L'idea ovviamente non è quella di acquistare interamente il social network, ma di essere uno dei soci “di peso” in maniera da smussarne alcuni principi rendendolo più adatto al suo ingresso nel Paese.

La contropartita, più che ghiotta per Palo Alto, sarebbe la fine del divieto di Facebook in Cina e l'accesso ad un bacino di utenti praticamente infinito, con tutti i vantaggi che l'azienda californiana potrebbe trarne. Tutto potrebbe essere deciso nei prossimi mesi, in previsione dell‘IPO che Facebook dovrebbe lanciare prossimamente e alla quale Pechino vorrebbe partecipare in maniera massiccia, mentre già in queste settimane sembra che Citybank sia interessata all'acquisto di 1,2 miliardi di dollari di azioni per conto di due fondi sovrani legati alla Cina e al Medio Oriente.

Il cappio intorno a Zuckerberg comincia lentamente a stringersi e l'appetibile prospettiva dell'apertura cinese potrebbe portare il giovane CEO a perdere gradualmente il controllo della sua creatura, schiacciato dal peso della potenza di una nazione che, se dovesse decidere di conquistare il re dei social network, difficilmente ne uscirebbe sconfitta.

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