Quando, nel corso del Google I/O tenutosi lo scorso giugno, Sundar Pichai svelò i primi dettagli del progetto Android One, l'obiettivo del colosso di Mountain View sembrò chiaro come il sole: "conquistare" i paesi in via di sviluppo. E per farlo, a differenza di Internet.org, l'azienda capitanata da Brin e Page ha dato ufficialmente il via a un progetto molto ambizioso, i cui protagonisti principali saranno una serie di smartphone caratterizzati da prezzi molto competitivi, che variano dai 65 ai 90 euro, basati su un sistema operativo semplificato all'osso con il quale gli ingegneri di Google hanno pensato di ottimizzare l'esperienza d'uso anche nei dispositivi di fascia bassa.
Si parte dall'India, e le linee guida per i produttori sono ferree. Le caratteristiche hardware dei singoli dispositivi devono rispettare standard ben precisi, e il sistema operativo ad animare gli smartphone ultra economici deve essere quanto più vicino possibile alla versione stock di Android: il display dovrà necessariamente essere da 4,5″ con una risoluzione di 845×480, deve essere presente il supporto al dual-SIM e il cuore dello smartphone dovrà essere un processore quad-core MediaTek da 1,3GHz affiancato 1GB di RAM e 4GB di storage interno. Sono queste le specifiche minime che, secondo Google, dovrebbero garantire un'esperienza d'uso fluida e stabile, e che dovrebbero permettere ai produttori di offrire ai mercati emergenti dispositivi solidi e molto economici.
In effetti impostato in questi termini, il progetto Android One sembrerebbe una sorta di BYOD (bring-your-own-device), una strategia che in effetti semplifica sostanzialmente il processo di aggiornamento, ma soprattutto garantisce meno frammentazione del sistema operativo e standardizza l’hardware necessario per il corretto funzionamento della piattaforma: il risultato è un esperienza software più prevedibile e coerente. Una strategia produttiva che da sempre utilizzata da Apple con il suoi iPhone e che pare abbia affascinato anche Microsoft, che però nel caso di Google è comunque mirata a una produzione extra-aziendale.
Una scelta forte, importante, che solo un colosso come l'azienda di Page e Brin poteva permettersi di fare, che gli permetterà di aggiudicarsi l'enorme fascia d'utenza nei paesi in via di sviluppo, nei quali – grazie a una serie di accordi con gli operatori telefonici – sarà possibile scaricare gli aggiornamenti software tramite rete cellulare e 200 mb al mese di applicazioni dal Play Store del tutto gratuitamente, senza che i download vadano a ridurre il traffico dati disponibile nel proprio piano dati.
I primi produttori che hanno aderito all'iniziativa sono Micromax con lo smartphone Canvas A1, Spice con il Dream Uno e Karbonn con lo Sparkle V. Tutte aziende poco conosciute quindi, precursori di un mercato del tutto nuovo sul quale aziende come Acer, HTC, Lenovo, Asus e Panasonic hanno già iniziato a lavorare, e che entro la fine dell'anno si espanderà anche in altri Paesi del sudest asiatico (Indonesia, Filippine e Bangladesh), con l'arrivo di una seconda ondata di dispositivi caratterizzati anche da tecnologie di Qualcomm, oltre che a quelle di Mediatek.