"Impossibile essere sicuri di altro se non la morte e le tasse". Una famosa citazione di Christopher Bullock – ma erroneamente attribuita a Benjamin Franklin – che generalmente indica la verità. Cioè l'impossibilità di sfuggire a due cose nella vita: la morte e le tasse. A meno che voi non siate una grossa azienda internazionale. È ormai risaputo che le realtà attive in Europa sfruttano diverse scappatoie legali che gli consentono di evitare il pagamento delle tasse nei paesi in cui operano. In questo modo, per esempio, Apple ha messo al sicuro nelle casse di paradisi off-shore circa 181 miliardi di dollari, ma non è l'unica; a seguire la sua strada sono anche Microsoft (108 miliardi di dollari), IBM (61,4 mld) e Google (47,4 mld).
Una procedura legale, che proprio per questo risulta anche estremamente frustrante per i cittadini e i governi. Che, ora, cercano in tutti i modi di recuperare terreno e soldi persi negli ultimi anni. Così si è arrivati all'accordo di Apple con il Fisco italiano che ha portato al pagamento di 318 milioni di euro e a quello tra Google e il Fisco inglese da 130 milioni di sterline. Due operazioni che da un lato vanno a prendere di mira con azioni reali le aziende che da anni eludono le tasse nella maggior parte dei paesi europei, ma che dall'altro denotano una sorta di diffusa timidezza nel farlo. Quelli italiano e inglese rappresentano esempi che, se seguiti anche dagli altri paesi, porterebbero ad una riscossione decisamente più consistente. Nel caso di Apple, per esempio, si parla di circa 8 miliardi di euro solo in Irlanda. Ma il Fisco sta davvero facendo abbastanza?
È davvero giusto definire l'operazione da 130 milioni di sterline "un grosso successo" come ha fatto il cancelliere inglese George Osborne? Da un lato sì, perché dimostrano che queste realtà non sono davvero intoccabili come sembrava, ma dall'altro lasciano l'amaro in bocca per le cifre richieste dal fisco e concordate con le aziende. 318 milioni di euro su circa 1 miliardo di fatturato per Apple e 130 milioni di sterline su 3,8 miliardi di ricavi per Google. Quasi briciole, che a chi si ritrova a dover pagare le tasse puntualmente, spesso esortato proprio dal Fisco, proprio non sono andate giù.
L'impossibilità di tassare i ricavi miliardari delle aziende è sempre stato visto come un grosso problema dai governi europei, soprattutto quello inglese che, dopo gli Stati Uniti, rappresenta il secondo mercato mondiale di molte aziende, Google compresa. Manovre come quelle attuate dall'Italia e dal Regno Unito vanno sì a colpire l'elusione, ma rischiano di far passare le aziende come ancor più intoccabili, in grado di decidere da sé quanto e come pagare e, di fatto, non vanno a modificare realmente la situazione se non facendo entrare qualche milione in più nelle casse dello stato. Tanto che il "doppio irlandese", il regime fiscale che favorisce da più di 10 anni i colossi tecnologici, sarà ancora attivo. Almeno per i prossimi anni, visto che l'Irlanda ha annunciato di voler porre un freno a questa pratica. Ma con calma.
Bisogna però tenere ben presente che le azioni dei governi vengono spinte (anche) dall'indignazione generale, che in seguito ad un'apparente concessione può spegnersi. Il punto è che davanti all'elusione di miliardi in tutta Europa bisogna continuare ad indignarsi, nonostante i milioni di multa e nonostante accordi che promettono di mettersi in regola negli anni a venire. Come quello tra Google e il Regno Unito, volutamente vago e che indica un aumento delle tasse pagate dall'azienda di Mountain View in futuro. Di quanto, però, non si sa. In Italia l'accordo tra Apple e Fisco potrebbe aver incluso anche la creazione di un Centro Sviluppo App iOS a Napoli. Ma questo, forse, non lo sapremo mai. In America si chiamano accordi "sweetheart", addolciti, di interesse.
Il problema è che questi accordi non risolvono il problema, lo mettono semplicemente in secondo piano. Il doppio irlandese è ancora lì, l'elusione è ancora lì, i ricavi delle aziende sono ancora lì. In Irlanda, sotto il 2,5% di tasse e ben lontani dal 20% inglese e dal 22% italiano. La soluzione non è multare, ma chiudere le scappatoie legali. Perché Apple, Google e co. stanno semplicemente svolgendo il loro dovere nei confronti degli azionisti in maniera per lo più legale. Imporgli di mettere fine a queste pratiche senza chiudere le falle sarebbe come chiedere ad uno squalo di non mangiare le foche. È nella loro natura, così come la minimizzazione della tassazione è nella natura dei direttori finanziari. "È un brutto scherzo composto da codardia, imposizione scoordinata delle tasse e sfruttamento di cavilli legali" scrive Vlad Savov su The Verge. Tanta cura e tanto battage pubblicitario da parte dei governi, ma poca sostanza. Tanto fumo, ma l'arrosto ancora non si vede.