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Dal premio Oscar per il cinema a The Last of Us 2, intervista al compositore Gustavo Santaolalla

“Credo che quanto visto finora con i videogiochi non sia altro che l’inizio delle sue potenzialità”. Così risponde Gustavo Santaolalla, noto compositore argentino che ha realizzato la colonna sonora di The Last of Us Parte II. Un dietro le quinte profondo e delicato che esalta uno degli elementi principali del videogioco: la musica.
A cura di Lorena Rao
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Il videogioco viene – giustamente – ritenuto un medium immersivo. E il merito non è solo dell’interazione con il mondo di gioco tramite un alter-ego virtuale, ma di elementi di contorno che però influiscono nettamente sull’esperienza complessiva. Ecco quindi che la musica risulta imprescindibile per rendere memorabili momenti dell’avventura videoludica e toccare le corde delle emozioni di chi gioca. Lo sanno bene Gustavo Santaolalla e Mac Quayle, compositori di fama mondiale – il primo vincitore di due premi Oscar, un Golden Globe e due premi BAFTA; il secondo vincitore di un Emmy -, che hanno prestato il loro talento per la colonna sonora di The Last of Us Parte II.

L’opera di Naughty Dog ha certamente tanti pregi, come una storia struggente, un gameplay accattivante e un coraggio di andare oltre le rappresentazioni mainstream degli USA post-apocalittici, a cui si aggiungono brani che enfatizzano egregiamente le diverse scene del gioco. Basta infatti sentire “Eye on an Eye” di Mac Quayle per sentire sussultare il petto di ansia, tensione e, perché no, rabbia. Sensazioni che rimandano immediatamente a una scena specifica del gioco riguardante Tommy, uno dei personaggi principali del cast di The Last of Us Parte II.

Ma per chi è avvezzo a comporre musica per film e serie tv di successo, cosa vuol dire passare al videogioco? Lo abbiamo chiesto a Gustavo Santaolalla, compositore argentino noto al pubblico per le musiche de "I segreti di Brokeback Mountain" e "Babel" (per i quali ha vinto i due premi Oscar sopramenzionati), non nuovo all’universo videoludico, data la sua esperienza con il primo The Last of Us.

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Il game director del gioco, Neil Druckmann, ha detto che il primo The Last of Us è un gioco sull'amore. The Last of Us Parte II è invece un gioco sull'odio e la vendetta. Qual è stato il tuo approccio per esprimere questo concept attraverso la musica?

Per me l’odio – e la vendetta intesa come espressione dell’odio – è comunque una forma d’amore. È una deformazione perversa sì, ma resta pur sempre amore. Non vedo l’amore e l’odio come due sentimenti contrapposti, ma come un insieme. Di conseguenza, il mio approccio rispetto al primo The Last of Us non è cambiato. Certo, rispetto a quand’ero più giovane, dato che ormai ho una certa età, credo di potere esprimere meglio questo sentimento, adesso, tramite la musica. Posso articolare meglio molti aspetti, posso comprendere molte sfumature al di là della semplice intuizione.

Una delle caratteristiche della musica che compongo è un elemento in grado di connetterci con un qualcosa legato proprio all’esistenzialismo. Un senso di vuoto che non si avverte solo quando siamo malinconici, ma anche quando siamo felici. È un elemento che riguarda la nostra interiorità, il nostro sapere di fare parte di un qualcosa più grande di noi. Dentro ognuno noi abbiamo un universo ma, allo stesso tempo, sappiamo di appartenere a un universo ancora più immenso. È questa percezione che ci connette come umani, ed io ho cercato di capirla ed esprimerla alla mia maniera.

Il tema principale del primo The Last of Us è suonato con il ronroco, un strumento a corde tipico delle Ande. Quello di the Last of Us Parte II con il banjo. Come mai questa scelta?

Sapevamo chiaramente che The Last of Us Parte II avrebbe avuto un’anima più azzardosa. Volevamo espandere il sua carattere diventato noto con il primo The Last of Us. Abbiamo quindi mantenuto il linguaggio e alcuni stilemi, come i temi musicali e l’estetica, ma al contempo portare nuovi elementi. Ho quindi mantenuto il ronroco, perché è uno strumento molto delicato che ho collegato in qualche modo a Ellie, per esaltare le sue qualità tramite sonorità femminili. Nel primo The Last of Us ho usato il Fender Bass VI, una chitarra baritona molto particolare oramai fuori commercio ma un tempo usato dai Beatles e dai Cream. A differenza dei bassi attuali, che hanno anche 11 corde, Fender Bass VI è differente, perché è un’ottava più bassa. Per The Last of Us Parte II ho sostituito questo strumento, lasciando intatte le sue sonorità ma rese in acustica. Ho trovato queste corde in Argentina, chiamate Magma – introvabili nel resto del mondo per quel che so – che mantengono lo stile del Fender Bass VI ma lo abbassano, lo incupiscono. Vengono fuori sonorità più virili che, nel caso del gioco, rimandano a Joel.

Tra le novità che ho sperimentato c’è il banjo. Del resto, il titolo è una piece americana. Ho provato diversi approcci perché non nasco come suonatore di banjo, e alla fine è venuto fuori un qualcosa di diverso che mi è piaciuto. All’inizio io stesso ero scettico, pensavo che Neil e i ragazzi di Naughty Dog non avrebbero ben visto il banjo, ma alla fine lo hanno adorato. Anzi, hanno apprezzato il mio lavoro, mi hanno sempre incoraggiato. Ho avuto massima libertà per provare qualsiasi sfumatura. In sintesi, quindi, il banjo rappresenta la nuova aura di The Last of Us Parte II.

The Last of Us 2

La chitarra è il simbolo di The Last of Us Parte II. Ciò ha influenzato il tuo approccio alla colonna sonora?

In realtà no. La chitarra è il mio strumento, assieme al ronroco. Il resto, come il banjo e gli altri strumenti utilizzati non sono altro che estensioni.
Il primo strumento che ho imparato a suonare quando avevo 5 anni è stata proprio la chitarra. Di conseguenza mi sono sentito subito connesso con l’essenza del gioco. Ho adorato che Neil ha voluto comparissi in The Last of Us Parte II come personaggio, mentre suono il banjo.

Sarebbe stata la domanda successiva, in effetti. Che esperienza è stata comparire in The Last of Us Parte II come personaggio non giocabile?

È stato incredibile. Innanzitutto perché The Last of Us Parte II mi ha introdotto a un pubblico completamente nuovo. Lungo la mia carriera, iniziata da giovane, dato che ho iniziato a registrare professionalmente all’età di 16 anni, e il mio primo album risale a quando avevo 18 anni, ho avuto diversi riconoscimenti come artista, come producer, come producer di altri talenti, come compositore di colonne sonore per il cinema, ma il videogioco è stata un’esperienza totalmente nuova che mi ha avvicinato a un pubblico particolarmente giovane, fatto di ragazzi di 12, 13 e 14 anni. Ho notato che hanno una passione davvero forte con i videogiochi.

Io non sono un giocatore, ma mio figlio sì, tra l’altro davvero bravo. Quando abbiamo iniziato a lavorare a The Last of Us Parte II, Neil mi ha detto di volermi all’interno del gioco, quindi mi hanno scannerizzato e tutto il resto. Tenere nascosto questo segreto soprattutto a mio figlio per un anno, un intero anno, è stata la parte più difficile di questa esperienza.

Inoltre, ho sempre avuto una connessione con i vari registi con cui ho lavorato, tanto da pensare di potere apparire tramite un piccolo cameo all’interno dei loro film. Non è mai successo, ma con un videogioco sì. Ormai sono vicino ai 69 anni, ma sapere che i giocatori di oggi, tra quarant’anni, quando non ci sarò più, potrebbero ricordarsi di me perché suono il banjo come personaggio di The Last of Us Parte II è veramente appagante. Sono veramente grato di aver fatto parte di questo progetto.

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In The Last of Us Parte II puoi suonare la chitarra attraverso il personaggio Ellie. Questo aspetto è stato molto apprezzato dai videogiocatori, infatti si possono trovare molti video su YouTube di queste performance. Pensi che il videogioco possa essere un buon mezzo per attrarre le persone alla musica?

Credo che il videogioco abbia un potenziale incredibile come medium, ma non è ancora del tutto approvato dal pubblico di massa. O meglio, molte persone lo sanno, ma ce ne sono ancora molte altre che non hanno nemmeno idea di quello che può essere fatto tramite il videogioco. Per me quello che ha fatto Neil in termini di storytelling e di dilemma morale, già evidente nel primo The Last of Us in particolare modo nel finale, è molto profondo. In The Last of Us Parte II il dilemma morale è ancora più potente, perché il gioco, a un certo punto, ti permette di vedere le cose da un altro punto di vista.

Quando mio figlio lo ha giocato, e si è ritrovano nei panni di Abby, mi ha detto di odiarla, di non volere giocare nei suoi panni. Gli ho risposto di avere pazienza, perché capirà tale scelta. E in effetti nei giorni successivi ho visto che il suo atteggiamento è cambiato, perché ha visto il male da un punto di vista differente rispetto a quello iniziale. Trovo sia una cosa molto profonda. In generale molte altre cose possono essere fatte tramite il videogioco. Una delle principali è certamente spingere le persone ad imparare, come la musica, o altro ancora. E credo che quanto visto finora con i videogiochi non sia altro che l’inizio delle sue potenzialità.

Nelle parti orchestrali della soundtrack di The Last of Us Parte 2, viene messa enfasi in strumenti come il clarinetto basso e il contrabbasso. Come mai questa evoluzione?

Non è necessariamente un’evoluzione. Il contrabbasso a sei corde è presente anche nelle parti da solista, proprio per dare tonalità basse. Riguardo il clarinetto basso, è uno strumento che adoro e che negli ultimi anni ho visto usare sempre di più. È uno strumento che presenta cinque ottave, quindi una scala vasta di tonalità, ed è molto caldo. È diverso dall’oboe, che adoro – come tutti gli strumenti -, ma è più neutro. Il clarinetto basso invece può ricordare il flauto, è più caldo, insomma dà colore in modi differenti, ed è per questo che lo apprezzo.

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