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Opinioni

Gli USA secondo i videogiochi? Un futuro che fa paura

Da simbolo del progresso, dell’ottimismo e del successo, l’America di oggi diventa spauracchio per il futuro. Un viaggio tra i più recenti titoli videoludici per vivere i pericoli dell’avvenire – razzismo, lavoro alienante e solitudine – che, pur toccando gli Stati Uniti, rischiano di inglobare il resto del mondo.
A cura di Lorena Rao
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America. Una sola parola che incarna il desiderio di riscatto, la possibilità di successo, la realizzazione dei sogni. Sin dalla sua “recente” nascita, scaturita dalla rivoluzione contro la madrepatria inglese nel 1776, il paese a stelle e strisce è stata la terra delle opportunità per milioni di migranti, partiti dai diversi continenti nelle condizioni più disagevoli, per vivere un'agognata rinascita via American Way of Life. Oggi questa visione trionfalistica, da cui si è formata l’essenza americana, si sfalda sempre più. E non è esclusivamente per la retorica aggressiva di Trump, che ha consolidato l’immagine di un’America dura e ostile contro chi non è americano per motivi di pelle o religione, ma perché gli Stati Uniti non sono più la super potenza che nel corso del ‘900 ha trainato il mondo intero.

Si tratta di uno sgretolamento cominciato con l’attentato alle Torri Gemelle, che unito alla successiva crisi economica del 2008 e all’ascesa di nuove potenze, ha portato al crollo della supremazia americana. Eppure, nei racconti mediali, soprattutto videoludici, il paese a stelle e strisce resta uno dei principali protagonisti, adesso costretto a far fronte a nuovi pericoli, come il razzismo sempre più violento e mutevole, la filosofia del lavoro capitalistica disumana e la solitudine dei tempi moderni. Da simbolo del progresso, dell’ottimismo e del successo, l’America di oggi diventa spauracchio per il futuro. Un viaggio tra i più recenti videogiochi per vivere i pericoli dell’avvenire che, pur toccando gli Stati Uniti, rischiano di inglobare il resto del mondo.

La sempre più violenta paura dell'altro

Detroit: Become Human della francese Quantic Dream (2018) utilizza la metropoli industriale del Michigan – famosa nella realtà per le rivolte partite dalla folta comunità afroamericana nel 1943 e nel 1967 – per raccontare una nuova lotta nel 2038, quella tra umani e androidi. Un tema già battuto dalla letteratura e dal cinema ma che, tramite l’interazione del videogioco, ha un impatto forte sul fruitore, che gioca attraverso scelte che influenzano il proseguimento della trama con i protagonisti Connor, Markus e Kara. Tre androidi, provenienti da tre strati sociali differenti, per mostrare il paradosso americano, lanciato verso il progresso della tecnologia a discapito dell’umanità.

Pur trattandosi di automi, i protagonisti di Detroit: Become Human diventano metafora dello scontro tra umani, a tal punto che, nelle loro vesti – anzi ingranaggi – è possibile operare attraverso la via della pace o della lotta. Due strade, che riprendono in maniera palese quanto promosso da Martin Luther King negli anni 60 per i diritti degli afroamericani, oppure la via violenta e ribelle rimandante al nazionalismo nero di Malcom X. Il titolo dunque ricorre al passato per correre verso il futuro, così da far riflettere sulle sue pericolosità più umane. Nel 2038 l’uomo fa paura, poiché cinico, non più empatico, paradossalmente in contrasto con gli androidi, che incarnano invece altruismo, rispetto e speranza.

Capitalismo alienante sino ai confini dell'universo

Uno dei capisaldi della cultura americana è il mito dell’Ovest. Il Far West diventa metafora dell’essenza americana, che in virtù del progresso e della civilization, ha saputo far fronte a selvaggi pellerossa, alla natura matrigna, alla mancanza di risorse. Per tale ragione il mito della frontiera diventa l'epica a stelle e strisce, poiché racchiude le virtù americane. Nel corso degli anni tale visione è stata riadattata (la corsa allo Spazio degli anni 50-60 diventa il nuovo Ovest da conquistare ad esempio, così come per fortuna non si parla più di “selvaggi pellerossa”), sino ad arrivare ai giorni nostri. Anche il videogioco ha fatto proprio il mito della frontiera, che nell’attualità si trasforma in allegoria per raccontare i pericoli del futuro. In questo discorso si inseriscono due titoli, entrambi del 2019, particolarmente significativi.

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Uno è The Outer Worlds, produzione di Obsidian, che tramite un’ironia intelligente mostra un futuro governato dalle mega corporazioni. Nel prossimo avvenire, infatti, la politica non sarà più affare degli stati, ma dei colossi del mercato, giunti a colonizzare lontani sistemi solari, come quello di Alcione. Il giocatore dunque opera all’interno di questo universo, caratterizzato da una natura spietata (in cui l’uomo dimostrerà di non essere da meno), e raccontato con un umorismo definibile pirandelliano, perché dietro la risata nata dalle situazioni e dai dialoghi di gioco, si cela amarezza e timore per ciò che potrebbe diventare l’umanità, basata oramai sui soli concetti di profitto, progresso (e "civilizzazione").

In The Outer Worlds, dietro il controllo di Zio Cleo e di Soluzioni Spaziali (due delle mega corporazioni presenti) si possono rintracciare Amazon o Facebook, e tutte quei colossi aziendali che al giorno d’oggi scandiscono la nostra vita. Attraverso un’esasperazione – verosimile – del “vivere per lavorare” e della filosofia della frontiera, il titolo di Obsidian lancia non poche riflessioni sul futuro mondo del lavoro.

Incapacità dell'uomo di essere animale sociale

Dall’Ovest come rincorsa sfrenata verso il progresso all’Ovest come prova da superare per il ricongiungimento dell’umanità: è la filosofia su cui si fonda Death Stranding, la controversa opera di Hideo Kojima e della sua Kojima Productions. Nei panni di Sam Porter Bridges/Norman Reedus bisogna riconnettere l’America, distrutta dal Death Stranding, un fenomeno inspiegabile che mette in contatto il mondo dei vivi con quelli dei morti.

Al di là del linguaggio criptico e simbolico, che include feti imbottigliati e balene spiaggiate, il titolo di Kojima ha una forte natura politica, che in un certo senso ribadisce la caduta della supremazia statunitense nei tempi attuali, ma che ciononostante non smette di restare faro dell’umanità. Questa, nel futuro rappresentato nel gioco, è ormai disgregata dal terrorismo, da attacchi nucleari e, soprattutto, dall’incapacità delle persone di tessere relazioni, e per questo ritirate in piccoli avamposti isolati dalla natura sempre più selvaggia.

Il viaggio epico iniziato da Sam, dall’Est all’Ovest, è una profonda metafora dietro la quale si cela la necessità di tornare a essere umani grazie alla socialità. “Il domani è nelle tue mani” è il mantra su cui si basa Death Stranding, nella speranza che guerra e tracotanza vengano superati dalla prima necessità umana: stare uniti. A differenza dei titoli analizzati precedentemente, in Death Stranding la tecnologia è valida alleata, poiché permette di “costruire ponti” tra le persone, e quindi consentire la rinascita degli Stati Uniti, ovvero il mondo intero.

death stranding

Moniti che lasciano riflettere

Il discorso fatto sinora non è certo tra i più rosei, ma risulta particolarmente affascinante. Non solo perché sono stati analizzati tre titoli di diverse produzioni – rispettivamente: francese, americana, giapponese – che dimostra la predominanza degli Stati Uniti nelle narrazioni videoludiche recenti nonostante il suo crollo nell’immaginario collettivo globale, ma anche perché, grazie a linguaggi impattanti, a sceneggiature profonde, e a meccaniche di gioco immersive, lasciano ipotizzare come sarà il futuro se si dà priorità ad apparenza, consumismo e materialismo. Perseguendo questa strada l’unico reale perdente sarà solo uno: l’uomo.

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