La settimana scorsa alcuni ricercatori di Princeton hanno pubblicato un'interessante studio, secondo il quale Facebook avrebbe perso più dell'80% dei propri utenti entro il 2017. Una conclusione scioccante, alla quale sono giunti applicando un modello utilizzato per lo studio dello sviluppo delle epidemie, analizzando i trend di Google relativi alle ricerche nel motore di ricerca della chiave "Facebook", la cui netta discesa ha avuto inizio lo scorso dicembre 2012.
"Il rapporto pubblicato da Princeton è una sciocchezza assoluta" ha dichiarato un portavoce di Facebook. In effetti, lo studio realizzato da John Cannarella e Joshua A. Spechler non ha mai convinto, per tutta una serie di variabili chiave che sono state utilizzate e che ne hanno viziato il risultato.
In primo luogo i ricercatori di Princeton, hanno basato i loro studi su un'analogia epidemiologica tesa a confrontare Facebook con una vera e propria "malattia" per gli utenti, dalla quale si potrebbe evidentemente "guarire". Certo, la dipendenza da social network può essere considerata – in alcuni rari casi – come una patologia psicologica, ma questo non implica assolutamente che il modello di diffusione del social network funzioni in realtà come un virus.
Cannarella e Spechler hanno poi utilizzato il fenomeno "MySpace" per analizzare il ciclo di vita del social network ed impostare un modello che spiegherebbe come, dopo qualche anno, gli utenti possano appunto "guarire" ed abbandonare la piattaforma come conseguenza naturale. Ma i ricercatori non hanno tenuto in considerazione un fattore fondamentale della vita di MySpace: il social network fondato nel 2003, che ha raggiunto il suo picco di utenza nel 2007 per poi andare in disuso in pochi anni, è stato de-facto ucciso da Facebook.
Ma l'errore più grande commesso dai due è stato quello di basare i propri studi sull'analisi statistica di una chiave di ricerca. Secondo quanto affermano Cannarella e Spechler, gli utenti in tutto il mondo stanno smettendo di cercare su Google la parola "Facebook", il che starebbe a significare che l'attenzione dell'utenza verso il social network è in netto calo. In realtà, nonostante l'evidente calo del numero di ricerche effettuate tramite il motore di Big G, dal 2012 la piattaforma di Mark Zuckerberg ha continuato a crescere, fino ad arrivare agli 1,19 miliardi di utenti attivi.
Certo, che Facebook stia perdendo colpi è risaputo. Gli utenti più giovani stanno abbandonando il social network a favore di piattaforme per la messaggistica istantanea come WhatsApp e ad ammettere questo calo d'utenza è stato David Ebersman in persona: il Chief Finantial Officer di Facebook ha dichiarato, nel corso di una chiamata con gli analisti nel quale ha discusso del risultato relativo al trimestre precedente, che "Facebook ha visto una diminuzione degli utenti giornalieri, in particolare degli adolescenti più giovani".
In realtà, soprattutto negli ultimi tempi, sono diversi i fattori che stanno spingendo via una piccola parte dell'utenza dal social network, a partire dai continui problemi di instabilità della piattaforma, alla diffusione di altre modalità di comunicazione, fino ad arrivare ai problemi legati alla privacy ed alla sicurezza e, perchè nò, l'utilizzo di una modalità di interazione (quello della condivisione) che ormai è diventata obsoleta. Ma quelli di Facebook se ne sono già resi conto e stanno correndo ai ripari: perdere novecentocinquantadue milioni di utenti mensili in 3 anni, sarebbe un disastro catastrofico.
LA RISPOSTA DI FACEBOOK – Sovente è arrivata la risposta del social network, che in una nota pubblicata da Mike Develin (Facebook Data Sientist) "punzecchia" i ricercatori di Princeton e smentisce il loro studio, applicando lo stesso modello che hanno utilizzato Cannarella e Spechler proprio alla chiave di ricerca relativa alla loro università.
"Come molti di voi, siamo stati colpiti da una recente pubblicazione da parte di due ricercatori di Princeton" – spiega Develin nella nota – "In linea con il principio scientifico utilizzato nella pubblicazione, una nostra ricerca ha dimostrato inequivocabilmente che Princeton rischia di scomparire del tutto. Analizzando l'interesse che gli utenti su Facebook rivolgono alle Università statunitensi, abbiamo notato un andamento allarmante."
"Ma oltre che per Princeton siamo preoccupati anche per il futuro del Pianeta Terra" – continua l'esperto di Facebook – "abbiamo analizzato le statistiche su Google Trends relative al termine ‘Aria', e le nostre proiezioni mostrano che entro il 2060 non ci sarà più aria da respirare".
"Noi non pensiamo che Princeton o la quantità di aria disponibile nel pianeta stiano per scomparire" – conclude – "Amiamo Princeton (e l'aria) e come scienziati abbiamo voluto dare un riscontro divertente per evidenziare che le ricerche non sono tutte uguali, e che alcuni metodi di analisi possono portare a conclusioni irrazionali".
Tornando con i piedi per terra però, è evidente che con il passare del tempo il modello sul quale si basa la piattaforma di Zuck sta diventando obsoleto, ed il fenomeno che vede soprattutto i più giovani abbandonare il social network è un reale campanello d'allarme.
E' forse arrivato il momento per Facebook di evolversi e deviare leggermente la rotta. E' forse arrivato il momento di abbandonare il concetto di pura e semplice condivisione, per dare vita ad una piattaforma nella quale gli utenti possano anche facilmente discutere sugli argomenti e sui trend più importanti del momento.