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Opinioni
Stati Uniti contro Huawei

Google ha tolto Android a Huawei per ingraziarsi il governo USA (che la vuole spezzare)

La decisione di rimuovere le licenze a Huawei sembra paradossale, perché potrebbe far perdere a Google milioni di clienti e milioni di acquisti all’interno del suo Play Store. Ma nel possibile scenario futuro forse questa non sarebbe la peggiore delle ipotesi per Big G.
A cura di Marco Paretti
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Le aziende tecnologiche americane sono diventate "troppo grandi". E vanno spezzate. Da ormai diversi mesi la discussione riguardante la crescita smisurata delle società tech – le 5 aziende più ricche degli USA sono tutte legate alla tecnologia e basate tra la Silicon Valley e Seattle – ha raggiunto anche la politica, che nel 2019 ha iniziato ad ascoltare le molte voci che da tempo stanno chiedendo che queste realtà vengano frammentate per limitarne il monopolio. I richiami, le multe e le interrogazioni in merito non hanno fatto altro che aumentare nel corso degli ultimi mesi, portando queste enormi – e ricche – aziende sull'orlo di un baratro potenzialmente pericoloso per loro. Uno scenario che ha pesato molto sulla scelta di Google di revocare le licenze Android a Huawei.

La situazione è complessa: attualmente le "Big 5" degli Usa sono Microsoft, Google, Amazon, Apple e Facebook, cinque aziende dalle dimensioni ormai enormi che nell'ultimo periodo hanno portato diversi senatori statunitensi a proporre regolazioni più stringenti e persino la possibilità di spezzare in più parti le varie divisioni, in modo da evitare che una singola azienda controlli innumerevoli settori differenti, come nel caso di Google. Di certo Google, Amazon e Microsoft sono gli esempi più lampanti di questa situazione: mentre Facebook e Apple ruotano attorno ad un business tutto sommato circoscritto ai loro prodotti, le altre tre grandi aziende rappresentano ormai enormi conglomerati caratterizzati da innumerevoli business racchiusi da un unico contenitore.

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Basti pensare solo a Google: ci sono il motore di ricerca, Android, Gmail, Mappe, Adword e tutta una serie di piccoli e grandi business che contribuiscono ad aumentare considerevolmente la portata dell'azienda sui consumatori e sui loro dati. Una situazione che fino ad oggi non aveva mai creato problemi anche in virtù del fatto che queste aziende erano generalmente viste come realtà "buone", ma che gli ultimi scandali che le hanno colpite – dalla privacy di Facebook alla guerra dei prezzi di Amazon – hanno spostato verso un sentiment meno positivo. Aprendo il fianco alle critiche più pesanti. Ma anche innescando una serie di analisi relative a quanto l'Antitrust americano si sia spesso e volentieri dimostrato incapace di gestire l'enorme e rapida crescita di queste realtà.

L'Antitrust contro le big della tecnologia

L'acquisizione di Instagram da parte di Facebook, per esempio, è stata considera da alcuni analisti come "il più grande fallimento del sistema di regolazione degli ultimi 10 anni", consentendo ad un colosso dei social di acquisire una piattaforma che gli ha concesso un dominio ancora più ampio sul web. Un'acquisizione che ha dato vita ad un colosso pubblicitario che di fatto mette in difficoltà le altre aziende. Ma ci sono stati anche casi al limite del paradossale: qualche anno fa alcuni grandi editori di libri hanno organizzato un assalto verso Amazon accusandola di aver monopolizzato il mercato degli ebook. Il risultato? Il Dipartimento di Giustizia ha fatto causa a loro, spiegando che Amazon stava utilizzando il suo potere per mantenere bassi i prezzi degli ebook e accusando gli editori di aver creato un cartello con l'obiettivo di aumentare i prezzi dei libri.

Il caso Amazon: quando il monopolio favorisce i clienti

Ci sono poi gli esempi di operazioni che non hanno nemmeno raggiunto i radar dell'Antitrust, ma che ora stanno riemergendo come parte della narrativa contro le grandi aziende americane. Una di queste è raccontata nel libro The Everything Store di Brad Stone, basato sulla storia di Amazon. Nel 2009 una startup chiamata Quidsi ha provato ad inserirsi nel mercato dell'ecommerce con siti web come diapers.com (pannolini) e soap.com (sapone). Scoperte le intenzioni dell'azienda, Jeff Bezos ha inviato un vice presidente di Amazon a pranzo con i fondatori di Quidsi per recapitare un messaggio: Amazon voleva entrare nel mercato dei pannolini e si impegnava ad acquisire Quidsi per velocizzare il processo. Una proposta rifiutata che ha avviato un processo non nuovo ad Amazon: i prezzi dei pannolini sul portale di Bezos sono calati del 30 percento e hanno continuato a farlo man mano che Quidsi li abbassava sui suoi portali.

Così gli investitori hanno cominciato a preoccuparsi e a investire sempre meno somme nel nuovo progetto. Poi è arrivato il colpo finale: Amazon ha avviato il progetto Amazon Mom che forniva alle madri grandi sconti e spedizioni gratuite sui prodotti per i bambini. Nel novembre 2010 il cda di Quidsi ha approvato la vendita ad Amazon, qualche anno dopo il programma Amazon Mom è terminato e il brand Diapers.com è sparito. Ecco il cortocircuito: le azioni di Amazon non hanno aumentato i prezzi per i clienti – anzi, li hanno abbassati – quindi l'Antitrust ha totalmente ignorato la questione.

Elizabeth Warren: "Google, Amazon e Facebook vanno spezzate"

Ora, però, la politica americana sta chiedendo grandi riforme, sia dell'Antitrust che delle aziende più estese. A marzo la voce più forte è stata quella della senatrice Elizabeth Warren: spezzare Google, Amazon e Facebook imponendo restrizioni significative sui business di Apple e Microsoft. "In una partita di baseball puoi essere l'arbitro oppure la squadra" aveva spiegato, da appassionata di sport. "Ma non puoi essere sia l'arbitro che la squadra". La proposta è quella di spezzare queste aziende in più parti, suddividendo i business e impedendo che i prodotti di una singola azienda appaiano in altri servizi della stessa azienda. Alcuni esempi: Amazon non potrebbe vendere le batterie della sua linea Basics sul suo ecommerce e Google non potrebbe fornire recensioni dei ristoranti nei suoi risultati di ricerca. Questo si applicherebbe alle aziende con un fatturato di oltre 25 miliardi di dollari all'anno, mentre le realtà più piccole – tra i 25 e i 90 milioni di dollari all'anno – affronterebbero una regolamentazione più blanda e, soprattutto, non dovrebbero separare la propria struttura. Inutile sottolineare che questo approccio creerebbe una situazione caotica per tutte le aziende, Google in primis.

Il precedente di Microsoft e la divisione mai attuata

Un precedente (teorico) in questo senso esiste già, anche se si parla di tempi piuttosto lontani. All'inizio degli anni '90 Microsoft era diventata una delle aziende tecnologiche più grandi e redditizie, elemento che nel 1992 ha attirato l'attenzione del governo statunitense, interessato a capire se l'azienda di Bill Gates fosse diventata un monopolio nel settore dei sistemi operativi per PC. La prima investigazione da parte della Federal Trade Commission si risolse con un nulla di fatto – 2 voti contro 2 da parte dei commissari – e fu chiusa, mentre quella del Dipartimento della Giustizia portò ad un accordo secondo il quale l'azienda non avrebbe più associato altri prodotti alle vendite delle copie di Windows. Il continuo inserimento di Internet Explorer all'interno del suo sistema operativo, però, portò ad un'ulteriore causa nel 1998, quando Microsoft fu condannata per aver creato un monopolio sul settore dei sistemi operativi. In quell'occasione, il giudice ordinò che l'azienda venisse divisa in due parti: una relativa al sistema operativo e una dedicata agli altri software. Nel 2001 questa sentenza è stata ribaltata e Microsoft non si è mai divisa.

Google e Huawei: una decisione per ingraziarsi il governo

Questo ci fa tornare alla notizia di ieri: dopo l'inserimento di Huawei nella lista nera del commercio da parte dell'amministrazione Trump, Google avrebbe deciso di annullare la licenza di Android per tutti gli smartphone prodotti dal colosso cinese. Impedendo in questo modo di utilizzare il sistema operativo all'interno di un ecosistema che ad oggi rappresenta quasi il 30 percento dei telefoni Android nel mondo, secondo solo a Samsung. Una decisione commerciale, ma anche politica: Trump vuole escludere Huawei dagli affari perché in ballo ci sono i miliardi di dollari del piano per lo sviluppo del 5G, mentre Google vuole provare a migliorare la sua situazione allineandosi subito alla linea del governo. Proprio quel governo che sta cominciando a guardare all'azienda con sospetto, pensando ad una modifica talmente profonda del suo business da proiettare delle ombre molto preoccupanti sul suo futuro e sulla sua crescita. Così la decisione di essere zelante nel rimuovere le licenze a Huawei, anche se questo gli potrebbe far perdere milioni di clienti e milioni di acquisti all'interno del suo Play Store. Ma nel possibile scenario futuro forse questa non sarebbe la peggiore delle ipotesi per Google.

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Giornalista dal 2002 specializzato in nuove tecnologie, intrattenimento digitale e social media, con esperienze nella cronaca, nella produzione cinematografica e nella conduzione radiofonica. Caposervizio Innovazione di Fanpage.it.
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