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Inghilterra, proposta shock: chiudere i social network in caso di nuove rivolte

Il Governo di Sua Maestà ha indetto una riunione con i responsabili dei più popolari social network per studiare strategie di censura e soppressione in caso di nuove rivolte come quelle di Londra di qualche giorno fa.
A cura di Angelo Marra
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Qualcuno diceva che la durata di cinque minuti dipende dal lato della porta del bagno in cui ci si trova. Per ciò che riguarda l'opinione sui social network, il ragionamento è molto simile: dipende da quale lato del confine geografico ne vede l'utilizzo.

Se Facebook e Twitter vengono adoperati per organizzare rivolte e deporre sanguinosi dittatori, come nella cosiddetta ‘primavera araba', o sono vittime di pesanti censure, controlli e limitazioni come in Cina, allora tutti giù a decantarne le lodi e le virtù di libertà e democrazia. Se, in caso contrario, i social network servono ad organizzare e diffondere messaggi relativi a battaglie sociali da combattere in casa propria, ecco migliaia di utenti diventare di colpo web-terroristi.

Del resto la parola stessa “terrorismo” viene puntualmente piegata all'accezione voluta dai singoli Governi; dai partigiani italiani ai montoneros argentini, tutti i combattenti per la libertà sono stati definiti dai regimi contro i quali combattevano come ‘terroristi' ed è probabile che i vari Gheddafi o Mubarak avessero dei ribelli un'opinione molto simile.

Succede così che i popoli arabi che lottano contro i dittatori (a cui i nostri governanti fino a ieri baciavano le mani, ma questa è un'altra storia) sono dei cavalieri della libertà, mentre gli indignados spagnoli o gli italiani che si ribellano alle varie caste provengono in massa dalle fila di Al-Qaeda.

Il denominatore comune di tutte queste battaglie è la rete e su di essa si sta scatenando una guerra senza pari. In Europa e negli Stati Uniti non si contano più le proposte per limitare, controllare, filtrare e censurare la rete e i temibili e famigerati social network (ma come, non erano un ‘vento di libertà?'), ma ciò che sta accadendo in Inghilterra rischia di diventare un precedente pericolosissimo.

Chiunque di noi legga un giornale o guardi un Tg saprà dei recenti scontri violenti avvenuti a Londra, caratterizzati da una reazione pesantissima da parte delle autorità; all'origine, l'uccisione da parte della polizia di un giovane nero accusato di far parte di una band di spacciatori. Ciò che molti organi di informazione hanno dimenticato di riportare però è la condizione economica in cui versa gran parte della popolazione inglese, strangolata da una politica interna criminale (ereditata da colei che fu la paladina del liberismo economico, Margaret Thatcher, a cui si è disgraziatamente inspirato anche Tony Blair), mirata a smantellare totalmente i pochi residui di stato sociale rimasti.

L'uccisione del giovane nero da parte della Polizia è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso e che ha portato ai disordini, ai vergognosi atti di vandalismo e guerriglia urbana e all'ancor più vergognosa reazione di Scotland Yard. Anche in questo caso lo strumento per coordinare la rivolta è stata la rete, principalmente tramite BlackBerry Messenger e i più popolari Facebook e Twitter e subito si è cominciato a parlare di bavaglio.

A pochi giorni dalla fine, almeno momentanea, degli scontri, il Segretario agli affari interni inglese, Theresa May, ha convocato una riunione con i responsabili dei più popolari social network; in agenda, la discussione sulla brillante proposta del Premier David Cameron, di bannare i sospetti rivoltosi dalle piattaforme e di chiudere provvisoriamente i siti in caso di nuovi disordini.

Una soluzione salomonica che sicuramente otterrebbe il plauso di altri leader democratici come Ahmadinejad o Kim Jong-il, un po' come vietare la vendita di mestoli dopo il delitto di Cogne. Le energie e l'intellighenzia delle autorità inglesi, ben lungi dall'essere adoperati per capire i motivi delle rivolte e venire incontro alle esigenze di una popolazione sempre più stanca di disoccupazione e precarietà, vengono quindi dedicati attivamente alla ricerca di strumenti per debellare le istanze di libertà e democrazia portate avanti dai rivoltosi, cercando di privarli dei mezzi necessari per organizzarsi.

Le webcompany dal canto loro hanno avuto negli ultimi anni un atteggiamento un po' ambiguo riguardo alle pretese dei vari governi, cercando di preservare la propria autonomia e capacità di discernimento per i contenuti pubblicabili ma al tempo stesso assecondando le autorità nelle loro richieste di censura o di informazioni relative ad account sospetti.

In realtà è assai probabile che l'intera faccenda si risolva in un nulla di fatto e che sia stata orchestrata a scopo puramente demagogico. La proposta eredita la famigerata idea di soppressione della libertà di stampa, pratica abitualmente portata avanti in periodi di guerra o da parte di dittature liberticide e non si applica di certo alla condizione politica e sociale inglese; inoltre, in un Paese informatizzato come quello di Sua Maestà, un controllo serrato della rete non produrrebbe altri risultati se non quello di alimentare un traffico underground, molto più difficile da controllare.

A ciò va aggiunto che se malauguratamente la proposta o parte di essa dovesse passare, rappresenterebbe un pericoloso precedente non solo per l'Inghilterra, ma anche per quei Paesi che con il sudore e il sangue stanno cercando di guadagnare un barlume di quella libertà che gli è stata sempre negata e che vedrebbero una delle nazioni prese a modello fare un salto all'indietro nella storia di duecento anni.

La ‘lezione' della primavera araba ha insegnato che le richieste della popolazione vanno ascoltate ed accolte e che a nulla sono servite censura e repressione, altrimenti ogni governo, che sia esso democratico o dittatoriale, rischia inevitabilmente di cadere.

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