Ad affermarlo è stesso Facebook, con un post nel quale tranquillizza i propri utenti specificando che i disservizi della giornata di ieri riscontrati da tantissimi utenti del social network, di Instagram e WhatsApp, non sono stati causati da un attacco DDoS.
L'ipotesi (non del tutto errata) di un attacco hacker è nata dopo il down iniziato alle 17 del 14 marzo. Un disservizio lunghissimo e di fatto uno dei più lunghi della storia di Facebook, che ha coinvolto – quasi contemporaneamente – anche WhatsApp e Instagram, le altre due applicazioni dell'ecosistema del network di Zuckerberg: decine di migliaia di utenti non hanno più avuto la possibilità di utilizzare le tre applicazioni.
Una "perturbazione dei servizi" durata circa 11 ore, che si è diffusa a macchia d'olio, maggiormente nelle aree costiere degli Stati Uniti e di alcune regioni del Sud America, assieme ad alcuni degli stati dell'Europa del Nord, per poi espandersi nel resto d'Europa e in Italia nelle ultime ore.
Secondo la mappa di Down Detector infatti, il problema pare sia in via di risoluzione, ma continuano a verificarsi disservizi a singhiozzo, questa volta però perlopiù in Europa e in alcune regioni asiatiche.
E così, per tranquillizzare utenti (e investitori) Facebook è stata "costretta" a specificare a caratteri cubitali che non si è trattato di un attacco hacker: lo ha fatto tramite un post nel social network, senza però dare alcun indizio su quali possano essere state le cause reali.
Un intervento di manutenzione finito male? Problemi con alcuni dei server della rete geografica? Probabilmente la reale causa non verrà mai svelata, ma forse escludere l'ipotesi di un attacco DDoS è la cosa più importante: più di un terzo delle gli utenti si è ritrovato in un totale black out e, se la causa fosse davvero un attacco hacker, in tanti potrebbero iniziare a mettere in dubbio la stabilità e – soprattutto – la sicurezza del network più grande e utilizzato del mondo.
Cos'è un attacco DDoS
Nessun problema per la privacy. Anche se attualmente l'ipotesi è da escludere, qualora il blackout delle ultime ore fosse davvero stato causato da un attacco DDoS, non ci dovrebbero essere problemi per i dati personali di tutti gli iscritti. Un attacco DDoS, acronimo di Distributed Denial of Service e traducibile in italiano come "Interruzione distribuita del servizio", consiste nell'inviare una grossa mole di richieste ad un sito (e quindi ai relativi server), fino a raggiungere il colo di bottiglia e renderlo irraggiungibile.
In soldoni si tratta di un’azione il cui obiettivo è sovraccaricare le risorse di un sistema informatico che fornisce un determinato servizio ai computer connessi. E ci si riesce prendendo di mira interi data center, reti di distribuzione o server che tramite una botnet vengono inondati di false richieste di accesso, a cui non riescono a far fronte. In gergo si dice che ne viene saturata la banda di comunicazione, con l'ovvio risultato che i siti web o i gli utenti che tentano di accedervi, hanno difficoltà o non riescono del tutto.
E proprio per questo, anche qualora si fosse trattato davvero di un attacco DDoS, è lecito ipotizzare che tutti i dati contenuti nei server di Facebook non siano stati rubati, proprio perché gli stessi server sarebbero inaccessibili non solo per gli utenti, ma anche per gli hacker che hanno attivato la botnet con lo scopo del blackout.