"Abbiamo appena raggiunto i 100 milioni di utenti". Sentire un giovane Mark Zuckerberg parlare di questi numeri fa uno strano effetto. Sembra preistoria, ma erano 10 anni fa. Siamo nel 2008, il fondatore di Facebook siede davanti ad una delle finestre dell'emittente Channel 4. La stessa che, a distanza di un decennio, fornirà le prove video che incastrano l'intero sistema di sfruttamento dei dati da parte di Cambridge Analytica, basato proprio sulle informazioni degli utenti di Facebook. "Abbiamo appena raggiunto i 100 milioni di utenti e stiamo pensando a come raggiungere i prossimi 100 milioni". Oggi Facebook ha più di 2 miliardi di utenti.
È giovane, non ha ancora adottato il suo iconico look minimalista e ha quel fare un po' impacciato che tuttora si porta dietro. Parla di Facebook come un prodotto dal futuro incerto, nonostante la sua sicurezza nello snocciolarne la strategia. L'interlocutore gli chiede come pensa di fare soldi, qual è il piano sul lungo termine e come stanno gestendo le crisi che, nonostante la giovane età, si sono già fatte sentire. È la nascita di Golia, un documento fondamentale soprattutto in queste giornate così confusionarie per il polverone alzatosi attorno alla figura di Zuckerberg e alla sua creatura. Cosa impariamo da questa intervista? Semplice, che Facebook non ha imparato nulla.
Quando Facebook non era ancora una macchina da soldi
La prima domanda è comprensibile per una realtà nuova come Facebook: "Qual è il tuo business plan per generare profitto?". D'altronde tuttora ci sono dei colossi che faticano a trovare la loro strada in questo senso, basta guardare Twitter. La risposta di Zuckerberg è invece sicura e dettata dalle soddisfazioni che la sua realtà si sta già togliendo: "Sul lungo termine ci concentreremo probabilmente sulla pubblicità". E così è stato. "Abbiamo già un buon business in questo senso" continua Zuckerberg, prima di lanciarsi in un passaggio che oggi fa sorridere, ma più per l'ironia della sorte: "Sicuramente non sfrutteremo i dati delle persone, fa parte del contratto che abbiamo con i nostri utenti". 10 anni dopo, Facebook è diventato il più grande calderone di dati personali mai realizzato nella storia.
La mission di Facebook: aiutare a condividere informazioni (con le app)
Connettere il mondo, lo slogan portato avanti dal social network da ormai oltre un decennio. Solo negli ultimi mesi, sospinto dalle polemiche, Zuckerberg ha modificato leggermente questa mission in "rendere il tempo speso sul social network tempo ben speso". Lo Zuckerberg del 2008, però, parla ancora di quel piccolo, grande bacino di utenti che lui vuole ampliare. Come? Anche attraverso le applicazioni sviluppate da realtà di terze parti. "Abbiamo già di 400.000 sviluppatori" dice fiero durante l'intervista. "L'apertura di questa possibilità è stata una delle cose migliori fatte lo scorso anno". E mentre l'avvento di queste soluzioni ha davvero consentito di "condividere informazioni in molte maniere differenti", dall'altro ha aperto la strada al disastro di Cambridge Analytica. Che proprio dai dati provenienti da un'applicazione sviluppata da Aleksandr Kogan ha generato un database enorme utilizzato anche per targettizzare messaggi durante campagne elettorali e referendarie, come quella di Trump e della Brexit. Al tempo, peraltro, il social network consentiva di accedere non solo ai dati di chi usava l'app, ma anche a quelli degli amici. Per questo dai 250.000 utenti che hanno usato l'app di Kogan si è arrivati ad un database di 50 milioni di utenti. E la privacy?
"Abbiamo capito che la privacy è importante"
Nel 2008 eravamo agli inizi dei social, ma il giornalista di Channel 4 incalza subito Zuckerberg: "E la privacy?". D'altronde si parla già di dati, pubblicità e applicazioni, è lecito anche chiedersi come Facebook gestirà la riservatezza. Anche se non ci si può nemmeno immaginare in che modo si possa evolvere la situazione, che a distanza di 10 anni ha generato una realtà in grado di seguire gli utenti ovunque nel web e non solo. "Per noi la privacy è incredibilmente importante nel processo di spingere gli utenti a condividere di più" risponde Zuckerberg. "Stiamo lavorando per fornire controlli specifici sulla privacy" rincara, con un'affermazione praticamente identica a quella fatta 24 ore fa (10 anni dopo) sul suo profilo. Perché, come spiega il CEO, "nessuno vorrebbe condividere il proprio numero di cellulare con tutto il mondo". Ecco, questo passaggio fa rabbrividire. Perché poi, 10 anni dopo, si scopre che su Android Facebook registra i dettagli delle chiamate e legge gli SMS. Sa chi avete chiamato e chi vi ha chiamati, sa cosa vi siete scritti con amici, parenti e amanti e sa quali sono i numeri di telefono della vostra rubrica. Altro che condividere il proprio numero con 100 persone.
Le prime crisi e le rassicurazioni
Nel 2008 erano passati quattro anni dalla nascita del social network, ma Facebook aveva già affrontato piccole crisi. L'anno prima dell'intervista, per esempio, aveva fatto discutere l'utilizzo della tecnologia Beacon in grado di raccogliere dati da siti web esterni con l'obiettivo di consentire la pubblicità targettizzata, permettendo anche di condividere le proprie attività con gli amici. Ecco, questo è un binomio che durante le prime fasi del social network veniva spesso utilizzato: vi presentiamo uno strumento che ha la doppia finalità di farvi condividere di più e far raccogliere più dati a noi. Poi la raccolta dati è diventata un fantasma, sempre presente ma taciuto. Le prime polemiche riguardavano proprio la questione Beacon: "Da quello abbiamo imparato quanto è importante la privacy". Certo.
"Questo sistema è al 100 per 100 sicuro?" gli chiede alla fine l'intervistatore. "Certo, per noi è un buon modello" risponde Zuckerberg. E in effetti lo era e lo è stato per tanti anni. Il fatto che oggi Facebook sia basato sulla raccolta dei dati fa parte di quel patto con gli utenti di cui Zuckerberg parlava 10 anni fa: sappiamo che utilizzare una piattaforma di questo tipo significa immergersi volontariamente in un calderone che da noi prende tutto e lo riutilizza per targettizzare gli annunci. Quello che però non fa parte del contratto è il fatto che questi dati vengano poi rivenduti ad aziende impegnate in campagne elettorali. O che Facebook faccia poco o niente per assicurarsi che i dati non vengano sfruttati da terzi.
Durante l'intervista rilasciata alla CNN diversi giorni dopo la pubblicazione dei report su Cambridge Analytica, Zuckerberg ha annunciato diverse azioni: oltre alle scuse, ha spiegato di voler revisionare migliaia di app, di voler individuare altre raccolte di dati massicce e di non voler commettere più l'errore di fidarsi di aziende terze. Come fatto con le rassicurazioni di Cambridge Analytica riguardo l'eliminazione dei dati, in verità mai cancellati. "Siamo partiti con un'ideale ingenuo, ma nel tempo abbiamo capito che la privacy è importante". Eppure dall'intervista rilasciata a Channel 4 pare chiaro che questa consapevolezza sia stata raggiunta 10 anni fa. "Ho avviato Facebook quand'ero così giovane e senza esperienza da aver fatto ogni sbaglio possibile" ha spiegato pochi giorni fa. Eppure ancora oggi la gestione della piattaforma sembra più caotica che altro. E Facebook sembra aver perso il controllo delle sue mosse.