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STOP SOPA, la rete insorge contro il bavaglio. Anche Facebook e Google per lo sciopero

Il 18 gennaio i grandi big dell’informatica potrebbero chiudere i battenti per 24 ore per protestare contro il disegno di legge che prevede la punibilità degli ISP per i contenuti illegali ospitati. Tutta la rete scende nelle piazze virtuali dei social network per protestare compatta, interviene anche Obama.
A cura di Angelo Marra
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Nel libro “La Trilogia dell'Impero” lo scrittore statunitense Gore Vidal descrive il Presidente degli Stati Uniti ed i membri del Congresso come semplici rappresentanti delle Corporations. Il ragionamento alla base di questo assunto è molto semplice: la campagna elettorale per le presidenziali negli USA dura più di un anno, tra primarie ed elezioni vere e proprie e il costo di una campagna di tale durata è ovviamente enorme e sia il Partito Repubblicano che quello Democratico ricorrono ai finanziamenti da parte di soggetti privati.

Non si tratta certo di bruscolini, bensì di svariati milioni di dollari, che vengono versati da aziende e multinazionali nelle casse di entrambi gli schieramenti. È quantomeno plausibile che, ad elezioni avvenute, gli “investitori” prevedano un tornaconto di quanto “donato”, ed ecco che la politica diventa così schiava degli interessi privati, con leggi create ad hoc per favorire (o non ostacolare) le aziende “amiche”.

Non si tratta certo di un sistema esclusivo americano, succede lo stesso anche da noi in Italia, ma le decisioni prese dal Congresso degli Stati Uniti finiscono spesso per avere conseguenze per l'intero pianeta.

Rimanendo però all'interno dei confini a stelle e strisce, il 2012 rappresenta di sicuro un anno cruciale. È di nuovo momento di elezioni, e il terreno di sfida sarà di certo la riconferma o meno della politica di Barack Obama, risultata negli anni meno splendente rispetto alle attese.

Con l'avvicinarsi della scadenza elettorale, le leggi più impopolari vengono riposte nel cassetto e si sfoggia il sorriso smagliante con il quale si cerca di recuperare quattro anni di mal politica. In quest'ottica la SOPA, (Stop Online Piracy Act), la legge contro la pirateria online al vaglio del Congresso, rappresenta più una provocazione che una vera sfida alla libertà in rete.

Non è tempo certo per leggi impopolari e questa sembra aver scatenato non solo le ire degli utenti, ma anche quelli di grandi gruppi come Google, Facebook e Wikipedia. La proposta di legge è stata avanzata da Lamar Smith, repubblicano del Texas (terra nota per le idee moderne e progressiste) e prevede una stretta di vite per i contenuti condivisi online e coperti da diritti d'autore.

La bagarre tra major discografiche e cinematografiche contro la rete è vecchia quanto la rete stessa e nessun Paese, compresa l'Italia, sembra essere riuscito a munirsi di un apparato legislativo che tuteli i copyright senza violare la libertà di espressione.

Appellarsi al buon senso, in alcune occasioni, può risultare utile dinnanzi a questioni di difficile risoluzione, ma la proposta di Smith non sembra affatto tener conto di questo assunto.

Se ad esempio registrassimo un video con gli amici durante una festa e decidessimo incautamente di condividerlo con i nostri amici su YouTube o Facebook, rischieremmo di diventare dei criminali. Nella registrazione infatti sarebbe incluso anche l'audio della festa, con molta probabilità un brano musicale coperto da diritti d'autore, quanto basta, secondo Smith e la sua folle legge, per prefigurare reato.

Vi sembra una esagerazione? Chiedetelo a Stephanie Lens, una ventinovenne americana che ha avuto “l'ardire” di postare su YouTube un video di 30 secondi del proprio bambino mentre balla sulle note di “Let's Go Crazy” di Prince e che si è vista recapitare una comunicazione da parte della Universal per violazione dei diritti d'autore sul brano di sottofondo.

Che le parti ritenute “offese” possano avanzare richieste di tale follia approfittando di un parziale vuoto legale in materia è anche comprensibile (auspicando ovviamente che il tutto si concluda in un nulla di fatto), ma se ad occuparsene è il Congresso degli Stati Uniti il discorso cambia drasticamente.

A rendere tecnicamente inapplicabile la proposta di Smith c'è anche la questione pratica; la SOPA infatti prevede anche la punibilità degli ISP per quello che riguarda i contenuti ospitati.

In pratica ad esempio Facebook dovrebbe monitorare tutti i post pubblicati quotidianamente ed assicurarsi che nessuno di loro contenga materiale “illegale”, pena l'oscuramento del sito e fino a 5 anni di carcere per l'autore del post.

Vista la mole di contenuti pubblicati sulla piattaforma bianca e blu, Palo Alto dovrebbe assumere circa 60 milioni di impiegati, ognuno dei quali dovrebbe controllare quotidianamente mille post pubblicati dagli utenti. Se le cifre vi sembrano astronomiche, occorre ricordare che stiamo parlando solo di Facebook, a cui si aggiungerebbero altre piattaforme come Google, Twitter, Wikipedia e così via. Non occorre essere esperti del settore per capire come questa operazione vada oltre le possibilità umane, purtroppo quando è un membro del Congresso ad avanzare simili proposte, la preoccupazione è necessaria.

Inutile dire che l'idea ha scatenato un putiferio mai visto prima, tanto da far scendere in campo persino i big della tecnologia, oltre alla base di milioni di utenti sul piede di guerra. Si parla addirittura di uno sciopero generale della rete, con la chiusura di Facebook, Google e Wikipedia per un intero giorno.

Il Congresso degli Stati Uniti non è mai stato un circolo di amici per il gotha della tecnologia, ma una reazione sinergica del genere non si era mai vista prima. I grandi minacciano il blackout totale ma la base non resta certo a guardare.

Post di protesta e avatar con il testo “STOP SOPA” impazzano nei social network e la protesta sbarca anche nel mondo reale, con l'omonima app per Android in grado di identificare, tramite la lettura del codice a barre, i prodotti le cui aziende finanziano il progetto di legge. Aziende che, in questo caso, sono le major discografiche e cinematografiche, le prime ad essere “danneggiate economicamente dalla rete” (anche questo assunto andrebbe poi discusso, alla luce dei numerosissimi successi commerciali la cui fortuna è stata decretata proprio dalla rete, oltre ai casi di artisti già affermati che hanno deciso di condividere gratuitamente i loro lavori online).

Tornando però alla real politik americana, si cominciano a registrare già i primi dietrofront. Lo Stop Online Piracy Act inizia il suo iter legale già privo di una delle sue armi più efficaci, il PIPA, ovvero Pro IP Act, la legge parallela al SOPA e che prevedeva addirittura l'utilizzo dei filtri DNS per oscurare gli ISP che ospitano contenuti “illeciti” (pratica che Larry Page ha definito “censura vera e propria”).

La netta opposizione dei big dell'informatica ha causato il ritiro della proposta, ma la legge principale prevede numerose altre strade per intervenire in caso di “reato”, per cui mantiene tutt'ora la sua pericolosità.

L'eco della questione ha fatto scomodare persino Barack Obama, che è intervenuto sulla questione con una nota ufficiale della Casa Bianca (firmata però dal suo staff), auspicando un maggior confronto tra le parti in causa ed assicurando il popolo americano che nessuna legge potrebbe mai limitare la libertà in rete. Una posizione poco chiara che di certo non dissipa i timori sulla stretta liberticida voluta da Lamar Smith e dalle major che lo sostengono, considerando che in passato il popolo americano è stato costretto ad accettare, i nome di interessi superiori, leggi criminali e liberticide come il Patriot Act.

Abbandonato il buon senso e l'interesse dei cittadini, cosa potrebbe salvare gli americani (e non solo loro, vista la nostra capacità di ispirarci agli Usa solo per le leggi più vergognose) da una simile catastrofe? Le elezioni presidenziali.

Come abbiamo visto nella prima parte dell'articolo, i membri del Congresso sono frequentemente vittime di pressioni da parte di lobby e Corporations (come le major appunto), ma al di là dei finanziamenti, fondamentali per le campagne elettorali, nelle cabine a decidere è chiamato il popolo sovrano (o almeno quella parte che negli Usa gode di tale diritto).

Ne deriva che nella fase contingente delle elezioni improvvisamente il popolo torna ad essere ascoltato e le leggi sconvenienti finiscono nel dimenticatoio, salvo poi tornare in auge a festeggiamenti conclusi.

Smith come qualsiasi altro politico sa benissimo che se il SOPA dovesse diventare una vera e propria legge gli costerebbe inevitabilmente la poltrona, a causa della sua impopolarità, ed è poco probabile che il politico texano decida di immolare la sua carriera agli interessi delle major.

Ecco perchè è probabile che la proposta di legge sia una specie di test per valutare la (prevedibile) reazione della rete e soprattutto dei grandi interessi economici dei big dell'informatica, e vista la reazione generale, altrettanto probabilmente la proposta di legge verrà accantonata in attesa di momenti meno caldi.

La rete però sembra intenzionata a cancellare per sempre la proposta dall'agenda di governo, e si mobilita per reagire compatta contro qualsiasi cedimento o sotterfugio. Sembra per ora confermata la data del 18 gennaio per lo sciopero che dovrebbe includere Google (e tutti i suoi “figli” come YouTube e G+), Facebook, Wikipedia, LinkedIn, eBay, Mozilla, Yahoo e tanti altri (riunitisi nell'associazione NetCoalition, creata per l'occasione) e se tutto dovesse andare come previsto si tratterebbe della prima grande manifestazione del web, destinata a creare un precedente di enorme importanza.

Sarebbe di certo auspicabile che giganti come Google decidessero di mantenere queste solide posizioni anche in terreni meno semplici, come quello cinese, dove invece BigG ha preferito calare il capo e assecondare pedissequamente i dettami del regime. Chissà che la “rivoluzione americana”, questa volta non portata con le bombe, possa essere esportata anche nei confini di fil di ferro della lontana Repubblica Popolare.

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