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Tempi bui per Google: Web Tax e compenso agli editori da parte dei motori di ricerca

E’ passato alla camera l’emendamento che costringerà le aziende estere che operano nel nostro paese ad avere una partita iva italiana. Intanto, il governo ha approvato un disegno di legge per rilanciare ed aiutare l’editoria online.
A cura di Dario Caliendo
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Due importanti novità per il mondo online sono state approvate nelle ultime ore. Mentre alla Camera è passata la cosiddetta Web Tax (o Google Tax), che costringerà le multinazionali ed i big di internet con sede fuori dal nostro paese a lasciare una quantità non indifferente di tasse in Italia, a Palazzo Chigi è stato approvato un disegno di legge che potrebbe stravolgere il mondo dell'editoria online, e che prevede un compenso agli editori per l'utilizzo dei contenuti da parte dei motori di ricerca. Intanto Standard & Poor’s conferma il rating per l’Italia, ma mantiene prospettive negative: senza riforme, nei prossimi mesi potrebbe arrivare un ulteriore declassamento.

TEMPI BUI PER GOOGLE & C0. – Dopo lo stop temporaneo per l'ementamento di legge, la commissione Bilancio della Camera sulla legge di Stabilità ha deciso, e chiama in causa tutte le grandi aziende che fanno profitti in Italia ma che hanno sede in altri paesi e che, quindi, pagano le tasse con regimi fiscali più favorevoli. Il nodo centrale della proposta di legge, prevede che: “i soggetti passivi di IVA che intendano acquistare servizi on line sia come commercio elettronico […] sono obbligati ad acquistarli da società titolari di una partita IVA italiana”. In soldoni, tutte le aziende estere che intendono vendere i propri servizi in Italia, non potranno appoggiarsi a paesi con pressione fiscale ridotta (come l’Irlanda ed il Lussemburgo), ma dovranno aprire una partita IVA italiana e saranno tassati come una qualsiasi azienda del nostro Paese.

RIVOLUZIONE PER L'EDITORIA ONLINE – Non bastava la Google Tax. Il Consiglio dei Ministri ha inoltre approvato un ulteriore disegno di legge che prevede un compenso agli editori per l'utilizzo dei contenuti proprietari da parte dei motori di ricerca. La norma è racchiusa nell'articolo 5 approvato nelle scorse ore e sancisce che l'utilizzo dei contenuti propri di una testata giornalistica da parte del motore di ricerca, è consentito solo dopo un accordo con il titolare del diritto. In mancanza di questo accordo, le condizioni economiche sono stabilite dall'AGCOM (l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni). 

La disposizione, che contiene le "misure per lo sviluppo del comparto editoriale" recita che "La riproduzione, la comunicazione al pubblico e in ogni caso l'utilizzazione, anche parziali, in ogni modo o forma, ivi compresa l'indicizzazione o aggregazione di qualsiasi genere, anche digitale, di prodotti dell'attività giornalistica, compresi la forma e il contesto editoriali, pubblicati a stampa con mezzi digitali, teleradiodiffusi o messi a disposizione del pubblico con altri mezzi, è consentita solo previo accordo tra il titolare del diritto di utilizzazione economica dei prodotti medesimi, ovvero le organizzazioni dei titolari dei diritti a ciò delegate. In mancanza di accordo sulle condizioni anche economiche dell'utilizzazione, dette condizioni sono definite dall'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, su istanza della parte interessata".

Lo scopo di questo disegno di legge è indubbiamente quello di aiutare l'editoria online, ma costringere i motori di ricerca a pagare i contenuti utilizzati ed indicizzati potrebbe essere un'arma a doppio taglio, che potrebbe spingere i big della rete a seguire la scia di Yahoo! nel creare un proprio team news, con una conseguente penalizzazione nell'indicizzazione delle testate giornalistiche online a favore dei propri contenuti, che farebbe calare sensibilmente il traffico verso i giornali online. Insomma, che i motori di ricerca non possano fare a meno delle notizie online è ovvio, ma probabilmente costerebbe meno produrre dei contenuti propri che utilizzare quelli delle testate giornalistiche online, soprattutto considerando la conversione di traffico e l'advertising.

Intanto, l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha confermato la classificazione dei nostri titoli di Stato al livello BBB, ma ha comunque evidenziato i rischi di una ripresa fragile in un contesto di elevato debito pubblico. Anche se queste nuove tassazioni porteranno non pochi introiti nelle casse dello Stato ed anche se il ministro per l'Economia si è immediatamente adoperato a smentire le previsioni dell'agenzia di rating con una nota, nella quale afferma a voce alta che "il nostro paese sia fuori dalla recessione e registri nel 2014 un Pil in crescita" , l'outlook per il Bel Paese resta negativo e le previsioni di un'ulteriore abbassamento di rating diventano sempre più concrete.

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