È la vigilia di Natale, in tutto il mondo le famiglie si riuniscono e i bambini cominciano a bramare con forza il momento in cui potranno scartare i doni sotto l’albero. In Italia sono le 19, l’ora decisiva per la preparazione del cenone. In America è l’una del pomeriggio.
Su internet comincia a spargersi la voce che Sony distribuirà The Interview, il film finito al centro del polverone sollevato dall’attacco hacker di qualche settimana fa, entro pochi minuti. Online, in streaming. Il web esulta, è la vittoria della democrazia, dell’America che non cede alle minacce del terrorismo e della libertà di espressione. Del buon cinema, forse, no.
Per comprendere meglio la situazione è necessario fare un piccolo passo indietro. Il 24 novembre negli uffici Sony succede il finimondo. Tutti gli schermi si oscurano e mostrano un’immagine che non lascia spazio a dubbi: alcuni hacker si sono introdotti nel sistema informatico dell’azienda, rubando migliaia di dati e cancellando tutto dai server Sony.
Che non si trattasse di un semplice attacco hacker, però, si è capito fin da subito. I responsabili, un gruppo definito Guardians of Peace, Guardiani della Pace, ha rivendicato l’azione minacciando di distribuire i dati raccolti a meno che non venissero accolte alcune richieste. Minacce divenute realtà qualche giorno dopo, quando sono stati rilasciati su internet cinque film non ancora distribuiti nelle sale. E, ancora, nelle ultime settimane, con centinaia di email private pubblicate ovunque, una corrispondenza che ha coinvolto CEO, attori e personalità di spicco. A questo punto l’attacco ha preso sembianze ben più preoccupanti.
Qui entra in gioco The Interview. In breve tempo si scopre che la pellicola è l’elemento da cui è scaturita tutta l’azione di boicottaggio e che i responsabili sono hacker della Corea del Nord. Il film comico narra infatti la storia di due giornalisti, interpretati da James Franco e Seth Rogen, alle prese con un’intervista a Kim Jong-un e, dopo essere stati contattati dalla CIA, con il suo assassinio. Pura satira che ha fatto arrabbiare il governo nordcoreano.
Ma The Interview non è partito con il piede giusto ben prima del polverone mediatico sollevato dagli hacker. I portavoce del paese l’avevano immediatamente additato come “iettatore e volgare”, mentre dai giornalisti di mezzo mondo era stato stroncato quasi all’unanimità. Un film mediocre, insipido e basato su cliché offensivi. Insomma, non aveva futuro. Poi, però, è arrivato l’attacco hacker e la successiva decisione di Sony di non distribuire la pellicola.
Il Sonyleaks, come qualcuno l’ha definito, ha completamente stravolto le carte in tavola. L’atto di cyber-terrorismo ha tolto ogni tipo dimensione e sfumatura alla pellicola, trasformando l’intera storia in un’immagine in bianco e nero: o volevi vedere The Interview o eri contro l’America.
Il fatto che un film non venisse proiettato a causa di minacce terroristiche non è (giustamente) andato giù a nessuno, men che meno agli americani. Sono partite campagne, petizioni e proteste: il mondo voleva vedere The Interview, ma a nessuno interessava il contenuto. A nessuno è mai importato il fatto che il film non rappresenti un coraggioso documentario contro il totalitarismo o il terrorismo. Perché The Interview non è questo, The Interview è una pellicola parodistica su due giornalisti che si ritrovano a dover uccidere un dittatore. Nulla di più.
The Interview è terribile. Si salva ben poco di un film che banalizza in questo modo tematiche profonde come le violazioni dei diritti umani da parte della Corea del Nord. Ma questo, grazie alle anteprime, già lo sapevamo. Il problema è che il Sonyleaks lo ha elevato da pessimo prodotto cinematografico a simbolo della lotta al terrorismo e alla censura, un ruolo nel quale chiaramente The Interview vacilla.
Eppure, nonostante questo, il film andava distribuito: non è possibile che un pellicola – per quanto possa essere parodistica, cretina e banale – non venga pubblicata in seguito a minacce ricevute da un altro paese. Sarebbe un terribile errore in grado di creare pericolosi precedenti.
L’elemento paradossale è che l’intero attacco hacker, scaturito proprio dalla volontà di mettere a tacere la pellicola, non ha fatto altro che dare il via ad un’incredibile campagna pubblicitaria virale, forse la più efficace dell’intero anno. Ma in alcun modo, questo è importante sottolinearlo, legata a Sony, come molti hanno suggerito negli ultimi giorni.
Ieri pomeriggio migliaia di persone hanno noleggiato The Interview, lo hanno acquistato e l’hanno guardato. Un successo che probabilmente sarebbe rimasto solo un miraggio se l’attacco hacker non si fosse mai verificato e non gli avesse dato tutta questa importanza. In America c’è già chi, sui social, fa notare il mezzo flop della pellicola: “È un film mediocre”. Però il terrorismo è stato sconfitto e il mondo ha ancora una volta dimostrato il suo (sacrosanto) diritto alla libertà di espressione. In Italia, per ora, non è ancora possibile guardarlo (legalmente, s’intende) e non ci è dato sapere se arriverà mai. E forse è meglio così.