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Turni infiniti e condizioni massacranti: il lato oscuro dell’industria dei videogiochi

L’uscita posticipata di The Last of Us 2 riapre il dibattito sul ‘crunch time’, fenomeno che attanaglia gli sviluppatori dei videogiochi, spesso spinti a lavorare in condizioni massacranti per far sì che un gioco esca come stabilito. Il titolo di Naughty Dog rappresenta un esempio virtuoso, ma qual è realmente la situazione nell’industria videoludica?
A cura di Lorena Rao
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L’industria dei videogiochi continua ad affermarsi sempre più tra l’opinione pubblica anche grazie ai numeri da capogiro che genera. Da un punto di vista economico, dal 2015 al 2017 ha visto crescere il suo fatturato da 91,5 miliardi di dollari a oltre 115 miliardi, sino ad arrivare ai 137,9 miliardi attuali (fonte Statista). L’Italia, che al momento è al decimo posto tra i paesi della game industry, registra oltre il miliardo di introiti, come riportato nel rapporto dell’Associazione Editori Sviluppatori Italiani (AESVI). Questi numeri sono possibili perché si riferiscono a un pubblico eterogeneo, che secondo le stime raggiungerebbe la quota di 2,3 miliardi di persone nel mondo (dati tratti da “Dataroom” di Milena Gabanelli per il Corriere della Sera).

Accanto a questa crescita economica e sociale, l’industria videoludica ha vissuto un progresso tecnologico tale da rendere il videogioco un medium paragonabile, a livello qualitativo, al cinema. Non a caso i due media interagiscono tra loro sempre più spesso, attraverso un miscuglio di linguaggi ed elementi. Per capire meglio questo rapporto, basta citare il titolo di Hideo Kojima, Death Stranding, e il cast attoriale che ospita al suo interno. In generale nell’ultimo decennio il videogioco ha acquisito una certa maturità contenutistica e resa tecnica, innalzando costantemente gli standard qualitativi.

Da questa breve introduzione, sembra che i videogiochi siano macchine da guerra inarrestabili. Tuttavia, dietro questi enormi successi si nasconde un ambiente di lavoro frenetico e poco sicuro. Andando più nello specifico, uno dei fenomeni che attanaglia l’industria videoludica è quello che nel gergo di settore è noto come crunch time. In inglese vuol dire sia "scricchiolare" che "momento critico", ma nel pratico si intendono le condizioni di lavoro massacranti, legate a tempi di consegna particolarmente stretti, a cui sono soggetti gli sviluppatori di videogiochi.

Le cause del crunch nello sviluppo di videogiochi

Il crunch è un fenomeno che coinvolge le grandi produzioni, i cosiddetti titoli tripla A, il cui sviluppo si basa su team di lavoro giganteschi (centinaia di persone per le diverse dislocazioni dell’azienda) e budget da fare impallidire le produzioni hollywoodiane. In questo ambiente, quando un titolo prossimo all’uscita non ha ancora raggiunto il completo perfezionamento, magari per problemi di programmazione sorti all’ultimo, anziché posticipare l’immissione nel mercato – e consentire dunque un rilascio adeguato -, viene invece richiesto ai dipendenti dei diversi settori di sviluppo di prolungare i turni di lavoro. Si parla di 60, 80 se non addirittura 100 ore di lavoro settimanali, per ottimizzare il gioco nel minor tempo possibile.

Così facendo, si rientrerebbe nella data d’uscita voluta dal publisher, definibile come l’entità che finanzia lo sviluppo di un titolo, supportandolo con campagne marketing e strategie commerciali volte ad aumentare i preordini (cioè l’acquisto del gioco prima che questo venga rilasciato sul mercato), e quindi ad ottimizzare i guadagni nella prima finestra di lancio, che è quella più remunerativa. Il crunch diventa dunque la pratica più efficiente per massimizzare il profitto e contenere i costi.

crunch

Posticipare la data d’uscita precedentemente annunciata è infatti un grave rischio per il publisher, che in quanto azienda deve tenere conto delle conseguenze per il suo fatturato nell’anno fiscale, e deve confrontarsi con le varie community di videogiocatori – dunque con i suoi acquirenti -, sempre più alimentati dalla cultura dell’hype. Anche questo è un termine gergale del settore, per intendere l’impazienza di mettere le mani su un titolo annunciato. Tale hype è generato dalle campagne marketing citate poc’anzi, che consistono nel rilascio incalzante di trailer, presentazioni, informazioni e rumor, e fomentare così i preordini, dunque un guadagno immediato volto a superare i costi del finanziamento. In tutta questa faccenda, la fascia più debole è proprio quella degli sviluppatori, soggetti a rispettare le richieste del publisher e dunque, indirettamente, anche quelle dei videogiocatori. Ma a quale costo? Di seguito verranno delineati alcuni casi per far comprendere al meglio il fenomeno.

Quando il crunch vince, quando il crunch perde

L’aspetto più paradossale del crunch è che è visto come una prassi dall’industria videoludica. La prima volta che si sentì parlare del fenomeno fu nel 2004, grazie a Erin Hoffman, compagna dello sviluppatore di Electronic Arts Leander Hasty, che cominciò a rendere pubblici via pseudonimo gli effetti del crunch time. La donna parlava di come i ritmi di lavoro logoranti fossero considerati normali all'interno delle compagnie videoludiche, e come questi potessero estendersi anche a lungo, senza gratificazioni economiche e senza tenere conto delle conseguenze psico-fisiche sui lavoratori.

red dead redemption 2

Passando a casi più recenti, suscitò scalpore la nonchalance con la quale Dan Houser, co-fondatore di Rockstar Games, parlò delle 100 ore settimanali passate sullo sviluppo di Red Dead Redemption 2 per completare il gioco in tempo per l'uscita. In seguito alla reazione dei giornalisti e di parte del pubblico (che si sta sensibilizzando sulla questione), Houser ritrattò tutto come se il lavoro extra fosse volontà del team di sviluppo di dare il tutto per tutto per l’affetto nei confronti del titolo. Alla fine Red Dead Redemption 2, quando uscì, divenne il secondo esordio più grande nella storia dell’intrattenimento: nei primi tre giorni di vendita generò 725 milioni di dollari, posizionandosi dopo Grand Theft Auto V che, nello stesso lasso di tempo, aveva raggiunto la cifra incredibile di 1 miliardo di dollari.

La questione del crunch è recentemente tornata alla ribalta per il caso di The Last of Us 2. A differenza di quanto ci si potrebbe aspettare dalle premesse fatte sinora, l’atteso titolo di Naughty Dog, previsto fino a poco tempo fa il 21 febbraio 2020, è stato posticipato a maggio 2020. La motivazione è la seguente: "Durante le ultime settimane, abbiamo capito che non avevamo abbastanza tempo per portare l'intero gioco al livello di qualità che definiamo ‘qualità Naughty Dog'. Avevamo due opzioni: compromettere alcune parti del gioco o cercare di ottenere più tempo" hanno spiegato gli sviluppatori. "Abbiamo scelto quest'ultima opzione, e questa nuova data di rilascio ci consentirà di portare il gioco a un livello che riteniamo soddisfacente, riducendo nel contempo lo stress per il team".

Dunque The Last of Us 2 rappresenta un esempio virtuoso, in cui le meccaniche rigide e spietate del mercato sono state piegate dalle necessità creative e umane. Un risvolto a dire il vero inaspettato, specie se si considerano le testimonianze di sei ex-dipendenti Naughty Dog soggetti al crunch time, proprio per The Last of Us 2. Da queste informazioni anonime riportate dalle principali testate del settore la scorsa estate, pare che gli sviluppatori non siano obbligati esplicitamente a lavorare più del dovuto, ma sia facile presupporre il licenziamento in caso di protesta.

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Ci si ritrova dunque a vivere in ufficio per lunghe settimane, a lavorare senza sosta, ognuno per la propria sezione di sviluppo, senza interazione non solo con la famiglia, ma con il più comune mondo esterno. È una condizione impossibile, a detta dei dipendenti, difficilmente sopportabile dal corpo umano. Ecco dunque che si cade nella depressione, nei disturbi d’ansia o nel licenziamento volontario. Queste voci non sono mai state confermate da Naughty Dog, e rimangono tutt'ora in attesa di verifica, ma ben si intersecano tra i casi sopramenzionati. Tra l'altro la compagnia è già stata menzionato anche in relazione al crunch time per Uncharted 4, il capitolo conclusivo della saga sull'archeologo Nathan Drake uscito per PlayStation 4.

Che futuro per l'industria?

Il crunch resta un grave problema che affligge i più alti livelli dell'industria videoludica. In Occidente, diversi sviluppatori hanno dato origine al Game Workers United, un'organizzazione indipendente che riunisce professionisti dell'industry per dare supporto a coloro che si ritrovano invischiati in situazioni di crunch time e affini, operativa sia negli Stati Uniti che in Europa. La sua formazione lascia intendere il bisogno della creazione di un sindacato degli sviluppatori. Discorso a parte poi bisogna fare per l'Asia, e in particolare modo il Giappone, dove la cultura del lavoro premia lo stacanovismo e il raggiungimento degli obiettivi a qualsiasi costo. Una filosofia che ha portato all'origine di karoshi, la morte per troppo lavoro, sopraggiunta per infarto o ictus. Un fenomeno che in Giappone riguarda non solo l'industria dei videogiochi, ma qualsiasi ambito professionale.

Tra le vie alternative allo sviluppo massacrante, vi sono le scelte fatte da esponenti del settore, che hanno deciso di abbandonare le grosse compagnie per fondare team di sviluppo indipendenti. È il caso di Ken Levine, autore videoludico della Irrational Games, diventato noto per BioShock (2007). Il titolo è uno sparattutto narrativo incentrato sulla critica filosofica, finanziato dal publisher 2K Games con 15 milioni di dollari, una cifra sbalorditiva per l'epoca. Nonostante il successo ottenuto – accresciuto poi con BioShock Infinite nel 2013 -, il forte stress vissuto da Levine durante lo sviluppo di BioShock, causato dalla gestione di grossi team dislocati per il mondo, dall'ottenere i finanziamenti del publisher, e dall'influenza del marketing sul processo creativo, lo ha condotto ad abbandonare Irrational Games e a fondare un piccolo team di sviluppo indipendente chiamato Ghost Story.

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La strada da percorrere verso una soluzione è ancora lunga, ma tutti i casi citati sinora dimostrano la necessità di sensibilizzare il pubblico sul fenomeno del crunch, che come detto all'inizio può influenzare il mercato, e di trovare un modo adeguato per sostenere e tutelare gli sviluppatori di videogiochi. Si conclude questa riflessione con una citazione di Shigeru Miyamoto, il papà di Super Mario: "Un gioco che viene rimandato prima o poi uscirà bene, un gioco che rispetta le scadenze consumando fino all’osso i propri sviluppatori rimarrà una vergogna per sempre".

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