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Come ha fatto Cambridge Analytica a violare 50 milioni di account Facebook e perché il prossimo potrebbe essere il tuo

L’azienda sarebbe ritenuta colpevole dello sfruttamento dei dati di cinquanta milioni di account Facebook e di informazioni personali “investite” nelle elezioni americane e non solo. Anche l’Italia sarebbe coinvolta. L’amministratore delegato della Cambridge Analyitica, Alexander Nix, ha confermato di aver collaborato con alcuni politici italiani.
A cura di Enrico Galletti
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Ci sono accuse pesanti che pendono sulla Cambridge Analytica, la società di “big data” e analisi con sede in Gran Bretagna. L’azienda sarebbe ritenuta colpevole dello sfruttamento dei dati di cinquanta milioni di account Facebook e di informazioni personali “investite” nelle elezioni americane e non solo. In poche parole, la società britannica avrebbe condotto alcuni studi per influenzare il risultato delle elezioni politiche. Si va dalla Brexit (con tentativi mirati per sostenere l’uscita dall’Unione Europea) al trionfo di Trump. Accuse pesanti, rese certe da un’inchiesta dell'Observer e del New York Times, che hanno lavorato sulle testimonianze (ritenute attendibili) di un ex dipendente della stessa società contro la quale ora tutti puntano il dito. Secondo l’accusa, il “lavoro sporco” della Cambridge Analytica avrebbe avuto un impatto diretto sul Russiagate, lo scandalo sulle presunte interferenze alle elezioni presidenziali che hanno assistito all’ascesa di Donald Trump. Se così fosse, la questione sarebbe ancora più grave e finirebbe nel giro di poco tempo sui banchi di un tribunale.

Il presunto lavoro sporco della Cambridge Analytica

Quali sarebbero, nel concreto, le colpe della Cambridge Analytica? La società avrebbe profilato decine di elettori, recuperando anche alcune informazioni strettamente riservate. La logica è semplice: se si schedano migliaia di persone, dividendole per aree di residenza, sulla base dell’orientamento politico, del censo, degli acquisti e dei comportamenti, si possono costruire dei dettagliati database. Questi dati permetterebbero di inviare a pubblico diverso messaggi elettorali diversi, cercando di fare leva sui temi più vicini ai singoli utenti. Se si constata, ad esempio, che in un quartiere nell’ultimo periodo ci sono state decine di furti, il messaggio politico più convincente e persuasivo per gli abitanti di quella zona (quindi quello che con ogni probabilità otterrà il voto) sarà, ad esempio: “Proponiamo di intensificare le misure di sicurezza nei quartieri”. Nulla di più semplice, no?

Il tranello del sondaggio

Cambridge Analytica avrebbe profilato gli utenti con una strategia pressoché infallibile. Si sarebbe infatti servita di un'applicazione sviluppata dal ricercatore Aleksandr Kogan, chiamata "thisisyourdigitallife", scaricata ed utilizzata da circa 270.000 utenti. L'applicazione sarebbe stata spacciata da Facebook come un semplice sondaggio di ricerca destinato alla raccolta dati di un ateneo universitario. Così migliaia di persone avrebbero implicitamente acconsentito l'accesso ai propri dati di Facebook e ai propri contatti, in favore di una raccolta dati promossa da Cambridge Analytica funzionale all'operazione della propaganda politica finita nel mirino dell'inchiesta. Una "semplice" falla che ha portato alla più grande violazione di profili Facebook di sempre. In tutta risposta il social ha sospeso gli account di Cambridge Analytica, ma chiaramente il problema va ricercato più a fondo. Se davvero bastano un'applicazione e pochi clic a generare dati in grado di virare il risultato di elezioni e referendum, Facebook deve per forza di cose capire come gestire questa situazione al di là di semplici blocchi.

Anche l’Italia sarebbe coinvolta

Si è parlato delle accuse alla Cambridge Analytica che si concentrano sulla Brexit e sulle Presidenziali USA. Ma le interferenze della società britannica avrebbero dei chiari risvolti anche in Italia. L’azienda ha affermato, sul sito ufficiale, di essere stata sollecitata a collaborare, nel 2012, con “un partito italiano che vanta i suoi ultimi successi negli anni Ottanta”. A quel punto, anche in Italia ha cominciato a farsi largo l’ipotesi che i sospetti che ricadono sulla società inglese siano fondati e che le ultime elezioni amministrative siano state in qualche modo alterate. Repubblica, tempo fa, ha provato a fare luce sull’argomento, trovandosi però di fronte a un nulla di fatto. L’amministratore delegato della Cambridge Analyitica, Alexander Nix, ha confermato di aver collaborato con alcuni politici italiani, ma non ha fatto alcun nome, nemmeno dietro specifica richiesta.

Chi è Christopher Wylie, l'ex dipendente che ha svelato tutto

Intorno a quello che si profila come l’ennesimo scandalo legato alle elezioni politiche si aggira la figura di Christopher Wylie, la persona che ha lavorato in Cambridge Analytica fin dalla sua fondazione. Mentre studiava per un dottorato di ricerca sulla previsione delle tendenze della moda Christopher Wylie ha escogitato un piano per raccogliere i dati dai profili Facebook di milioni di persone negli Stati Uniti e di utilizzare le loro informazioni personali per creare veri e propri profili psicologici e politici sofisticati. L’ipotesi dell'input di Christopher Wylie, personaggio che fa discutere proprio in queste ore, si è intensificato dopo che il Guardian ha svelato ulteriori dettagli sull’inchiesta, spiegando che sarebbe stato decisivo per le sorti del referendum sulla Brexit. La figura di Christopher Wylie continuerà a far discutere, almeno per un po’.

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Diciotto anni, liceale, cremonese convinto e appassionato di tecnologia. A dieci anni ho visto una videocamera e una bella giornalista. Mi ha sorriso, ci siamo guardati negli occhi e ho deciso che sarei diventato come lei. Non è vero. In realtà è successo tutto per caso. Ho un debole per le storie, belle o brutte. Le cerco, adoro raccontarle. Provo a scrivere perché è quello che riesco a fare meglio. Mi piace quando da una storia nasce un confronto. Credo nel giornalismo che si schiera vicino alla gente, e che i problemi delle persone prova a risolverli. Mi piace chi i giornalisti li chiama avvoltoi, in effetti mi piacerebbe volare. Ah, a sei anni a Babbo Natale ho chiesto un microfono. C'è rimasto male. Poi ha preso il piccolo chimico, l'ha imballato e l'ha spedito per il reso. enricogalletti7@gmail.com
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