La pirateria aiuta il cinema ma l’AgCom continua nella censura!
Una ricerca condotta in Germania su un sito che permette lo streaming di film ha dimostrato che scaricare opere pirata aiuta il cinema, anziché scoraggiarlo. Questa tesi è sostenuta anche in Italia da alcuni gruppi che difendono la neutralità del web. Già uno studio indipendente del Gao, una commissione di studi del Congresso americano, aveva rilevato che è impossibile rilevare un rapporto di causa-effetto tra la pirateria e le perdite in termini di fatturato dell’industria culturale, che colpiscono soprattutto quella musicale visto che quella cinematografica continua il trend positivo – 12 milioni di biglietti venduti nella sale nel 2010, in crescita del 10% rispetto al 2009 in Italia.
Lo studio è commissionato dalle case di produzione cinematografiche tedesche dopo l’arresto degli amministratori di un sito – Kino.to – che forniva link per la visione di film in streaming: si è dimostrato il contrario e cioè che lo streaming viene considerato una anteprima del film che poi si vedrà al cinema o verrà acquistato; lo studio è stato subito secretato. L’osservatorio di ricerca che ha effettuato l’indagine è il noto GFK.
Anche il Libro Bianco del Copyright, pubblicato dal movimento per un web libero su Sitononraggiungibile.it, dimostra che non è possibile stabilire una relazione direttamente proporzionale tra lo streaming e le perdite del settore dell’industria culturale, contro la delibera dell’AgCom che ha sposato invece la tesi opposta.
Qualche giorno fa, infatti, il presidente dell’Autorità Garante nelle Comunicazioni, Corrado Calabrò, ha di nuovo, dopo l’audizione del 21 Luglio alle Commissioni Cultura e Comunicazioni, esposto al Senato, nella seconda audizione, la tesi dell’industria culturale e chiesto al Parlamento l’attribuzione di un nuovo potere: quello del bavaglio al web.
Secondo il testo provvisorio, infatti, il titolare di un diritto di un contenuto audiovisivo, qualora riscontrasse una violazione da parte di un sito Internet, può chiedere l’immediata rimozione attraverso la procedura chiamata “notice an take-down”. I gestori del sito, a questo punto, avrebbero 4 giorni di tempo per adempiere alla richiesta altrimenti l’AgCom potrebbe avviare un’indagine, della durata massima di dieci giorni, al termine dei quali potrà ergersi a unico censore del web oscurando il sito e il contenuto. Il gestore del sito, a sua volta, avrebbe solo 2 giorni, dall’avvenuta notifica da parte del titolare del copyright, per presentare una memoria difensiva.
Qualora non venisse eseguita la richiesta dell’Authority, ci potrà essere una sanzione fino a 250mila euro. In Italia manca un impianto lesislativo adeguato sulla delicata materia del diritto d’autore, che deriva da una legge risalente a 60 anni fa. Già molti autorevoli esponenti del mondo giuridico, legato al web – Marco Scialdone, Fulvio Sarzana – hanno lamentato una profonda latenza di norme giuridiche adeguate, quest’ultimo ha definito l’attività dell’AgCom “peronismo digitale” dichiarando ““L’unica norma, avente valore di legge atta a definire il potere dell’Autorità di regolamentare in materia è il decreto Romani (44/2010) che però riguarda solo i media audiovisivi e non l’intero diritto d’autore sul web”.
Oltre a esperti giuridici si sono mossi da tempo tutti gli stakeholder della rete, come li definisce Calabrò; testate giornalistiche, associazioni, blogger, professionisti del settore, della comunicazione digitale, dirigenti di grandi aziende, intellettuali, politici, dando vita alla “Notte della rete” seguita da 90mila persone online e centinaia in piazza a Roma che hanno seguito gli interventi degli esperti. Il testo, approvato il 6 Luglio dall’AgCom, è messo in consultazione pubblica che durerà 60 giorni, e l’approvazione definitiva, dopo che si pronuncerà anche la Commissione Europea, è attesa per Novembre.
Quali potrebbero essere i nuovi scenari?
Molti lamentano anche la consultazione europea, vista come una presa d’atto obbligata per una norma, e conseguente attribuzione di poteri, giudicata anti-costituzionale che mira più a difendere e controllare i contenuti su Internet, new media che sta iniziando ad avere un impatto decisivo sulla società come dimostrano anche le ultime elezioni amministrative, che a favorire un libero accesso e circolazione delle idee.
Nell’ultima audizione il presidente ha ribadito che il testo è ipergarantista e che sono state accolte le richieste avanzate tanto da far approvare un testo modificato rispetto all’impianto iniziale “dal quale sono state eliminate – si legge nel comunicato – le possibili ambiguità e criticità sui limiti degli interventi”. Ci si riferisce alla limitazione dell’intervento del Garante sui siti senza fini di lucro, sui siti stranieri, su quelli di ricerca e studio e sulla riproduzione parziale dell’opera laddove non risulti danneggiato il valore commerciale dell’opera. Troppo poco per non far temere la censura su documenti e informazioni che potrebbero allargare l’attenzione su problemi che si preferisce rimangano, in alcuni casi, oscurati, oltre ai flussi informativi su cui già esistono censure e monopoli.
Molte associazioni stanno pensando di ricorrere al Tar, alla Corte Europea e alla Corte Costituzionale contro la delibera; bisognerebbe valutare anche se non ci sia l’opportunità di avviare una vera e propria richiesta referendaria. Lo studio citato rileva una correlazione positiva tra download illegale e mercato culturale; non si contesta tanto la professionalità di Calabrò, che pure si era espresso contro alcune normative del decreto Romani, che aveva postulato un filtro ex-ante alla pubblicazione di contenuti, quanto la possibilità di terzi nel modificare o decidere cosa può essere letto, visto e diffuso online, senza una specifica normativa in atto.