La riforma del Copyright sta per arrivare alla fase finale di approvazione, un momento cruciale per i negoziati che proprio in questi giorni stanno cercando di raggiungere un compromesso, soprattutto per quanto riguarda le norme indicate agli articoli 11 e 13 della riforma, il cuore di tutto. Su questa proposta hanno espresso pareri negativi in tanti, evidenziando come questa normativa possa davvero minare la libertà di espressione e trasformare Internet in uno strumento di sorveglianza e di controllo automatizzata sui propri utenti. Partendo dall'intento di "ammodernare" una legge troppo legata all'era analogica, questa riforma, iniziata nel 2016, ha finito per scontentare tutti, trasformandosi in una rivoluzione che potrebbe colpire soprattutto i piccoli e medi editori. Dagli esiti dei negoziati sembra però affacciarsi la possibilità concreta che la norma, che dovrebbe essere approvata in via definitiva entro la fine di quest'anno o al massimo entro l'inizio del prossimo anno, possa contenere qualche modifica. Intanto restano ancora centrali i due articoli, l'11, quello che introdurrebbe la "link tax" e il 13, quello che prevede in controllo preventivo.
L'intento della riforma del copyright era quello di portare una ventata di modernità ad una situazione che sembrava ormai lontana dal contesto in cui la proprietà intellettuale oggi si manifesta, soprattutto sul digitale. Lo scenario è cambiato negli ultimi dieci anni e di conseguenza sono emerse esigenze diverse da soddisfare. Il problema è che la risposta dell'UE ha finito per trasformarsi in una sorta di censura di Internet, per lo meno per quello che riguarda la libertà di espressione. E se da un lato vedere il web come un luogo totalmente libero rappresenta una visione pericolosamente ingenua, dall'altro pensare di riformare Internet ricorrendo alla censura e al controllo preventivo significherebbe privarlo delle sue peculiari caratteristiche. Ecco perché riteniamo profondamente sbagliati e fuori logica gli articoli 11 e 13, due elementi in grado di penalizzare i piccoli editori, quelli che non hanno grandi capitali e tanti strumenti per contrastare i grandi editori, e di introdurre una forma di controllo che non appartiene alla nostra storia.
Cosa dice l'articolo 11 della riforma del Copyright
Ma cerchiamo di tirare le fila di questa situazione guardando meglio i due articoli e guardando, ad oggi, qual è lo stato dell'arte sulla riforma del Copyright. I due articoli centrali di questa norma, come già ricordato, sono l'11 e il 13. L'articolo 11, nel tentativo di tutelare il diritto d'autore, potrebbe invece essere un vero rischio per la libera circolazione delle informazioni. In pratica, l'articolo prevede un diritto per gli editori, ossia i grandi editori di quotidiani, di bloccare o quantomeno ostacolare la circolazione e la condivisione delle notizie introducendo una "tassa", cioè una remunerazione per l'editore stesso, per ogni link condiviso. In parole povere, quando viene condiviso un articolo su una piattaforma digitale, quelle due/tre classiche righe di anteprima che accompagnano l'articolo dovrebbero essere tassate. Google, il motore di ricerca più usato, dovrebbe quindi pagare l'editore.
Questo il teso dell'articolo 11, emendato a settembre di quest'anno con modifiche ai singoli paragrafi e aggiunte di specifiche che in qualche modo stemperano le polemiche iniziali:
1. Gli Stati membri riconoscono agli editori di giornali i diritti di cui all'articolo 2 e all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2001/29/CE, di modo che gli editori possano ottenere una remunerazione equa e proporzionata per l'utilizzo digitale delle loro pubblicazioni di carattere giornalistico, da parte dei prestatori dei servizi delle società di informazione.
1bis. I diritti di cui al paragrafo 1 non impediscono l'uso legittimo privato e non commerciale delle pubblicazioni di carattere giornalistico da parte di singoli utenti.
2. I diritti di cui al paragrafo 1 non modificano e non pregiudicano in alcun modo quelli previsti dal diritto dell’Unione per gli autori e gli altri titolari di diritti relativamente ad opere e altro materiale inclusi in una pubblicazione di carattere giornalistico. Essi non possono essere invocati contro tali autori e altri titolari di diritti e, in particolare, non possono privarli del diritto di sfruttare le loro opere e altro materiale in modo indipendente dalla pubblicazione di carattere giornalistico in cui sono inclusi.
2bis. I diritti di cui al paragrafo 1 non so estendono ai semplici collegamenti ipertestuali accompagnati da singole parole
3. Gli articoli da 5 a 8 della direttiva 2001/29/CE e la direttiva 2012/28/UE si applicano, mutatis mutandis, ai diritti di cui al paragrafo 1.
4. I diritti di cui al paragrafo 1 scadono 20 anni dopo l'uscita della pubblicazione di carattere giornalistico. Tale termine è calcolato a decorrere dal 1° gennaio dell’anno successivo alla data di pubblicazione. I diritti di cui al paragrafo 1 non si applicano con effetto retroattivo.
4bis. Gli stati membri provvedono a che gli autori ricevano una quota adeguata dei proventi supplementari percepiti dagli editori per l'utilizzo di pubblicazioni di carattere giornalistico da parte dei prestatori dei servizi delle società di informazione.
Dall'articolo emendato emerge che il link su Wikipedia e la singola copia privata sono esentati da questo articolo. Ma resta il fatto che la struttura originale dell'articolo resta, nonostante gli emendamenti. Dovunque sia stata introdotta una qualche forma di "link tax", basti pensare all'esempio spagnolo, questa ha portato solo ad una contrazione del mercato, con percentuali che in alcuni casi erano anche a doppia cifra.
Perché l'articolo 13 rischia di creare il caos
E poi c'è l'articolo 13, quello dell'"Upload filter", del controllo preventivo. L'articolo emendato prevede che la piattaforma che consente agli utenti di condividere contenuti avrà piena responsabilità rispetto a questi ultimi. Di conseguenza, l'unico modo per non incorrere in responsabilità per già che gli utenti condividono resta quello di controllare ogni singolo elemento caricato sui server. Un controllo che prevede quindi un filtraggio dei contenuti, un'operazione che, oltre a richiedere uno sforzo enorme, non è esente da errori. E quindi la questione si complica di molto, anche se da questa operazione di filtraggio sono escluse le piccole e micro imprese, così come resta esclusa Wikipedia.
È molto probabile che lo scenario che scaturirà dall'adozione di questa norma sarà di grande confusione e di grandi costi da sostenere. Ed è altresì molto probabile che alla fine ci si avvarrà dei soliti algoritmi con tutte le conseguenze che l'adozione di questi può comportare.
1. Fatti salvi l'articolo 3, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2001/29/CE, i prestatori di servizi di condivisione di contenuti
online svolgono un atto di comunicazione al pubblico. Essi concludono pertanto accordi equi e adeguati di licenza con i
titolari dei diritti.2. Gli accordi di licenza conclusi dai prestatori di servizi di condivisione di contenuti online con i titolari dei diritti
degli atti di comunicazione di cui al paragrafo 1 disciplinano la responsabilità per le opere caricate dagli utenti di tali
servizi di condivisione di contenuti online conformemente alle condizioni enunciate nell'accordo di licenza, purché detti utenti non perseguano scopi commerciali.2 bis. Gli Stati membri dispongono che se i titolari dei diritti non desiderano concludere accordi di licenza, i prestatori
di servizi di condivisione di contenuti online e i titolari dei diritti cooperano in buona fede per garantire che non siano
disponibili nei loro servizi opere o altro materiale protetti non autorizzati. La cooperazione tra i prestatori di servizi di
condivisione di contenuti online e i titolari dei diritti non comporta l'indisponibilità delle opere o di altro materiale protetti che non violano il diritto d'autore o i diritti connessi, compresi quelli coperti da un'eccezione o limitazione ai diritti d'autore.2 ter. Gli Stati membri provvedono a che i prestatori di servizi di condivisione di contenuti online di cui al paragrafo 1
istituiscano meccanismi di reclamo e ricorso celeri ed efficaci a disposizione degli utenti qualora la cooperazione di cui
al paragrafo 2 bis conduca alla rimozione ingiustificata dei loro contenuti. I reclami presentati a norma di tali meccanismi
sono trattati senza indugi e soggetti a verifica umana. I titolari dei diritti giustificano ragionevolmente le loro
decisioni onde evitare che i reclami siano rigettati arbitrariamente. Inoltre, conformemente alla direttiva 95/46/CE,
alla direttiva 2002/58/CE e al regolamento generale sulla protezione dei dati, la cooperazione non comporta l'identificazione dei singoli utenti o il trattamento dei loro dati personali. Gli Stati membri provvedono altresì a che gli
utenti possano adire un organismo indipendente per la risoluzione di controversie, oltre al giudice o un'altra autorità giudiziaria competente, per far valere l'applicazione di un'eccezione o di una limitazione alla normativa sul diritto d'autore.3. A decorrere dal [data di entrata in vigore della presente direttiva], la Commissione e gli Stati membri organizzano dialoghi tra le parti interessate per armonizzare e definire le migliori prassi e definire orientamenti per garantire il funzionamento degli accordi di licenza e la cooperazione tra i prestatori di servizi di condivisione dei contenuti online e i titolari dei diritti per l'utilizzo delle loro opere o di altro materiale ai sensi della presente direttiva. Nel definire le migliori prassi, si tiene conto in particolare dei diritti fondamentali, del ricorso ad eccezioni e limitazioni, garantendo che l'onere gravante sulle
PMI rimanga adeguato e che sia evitato il blocco automatico dei contenuti.
Google contro la riforma: "Effetti devastanti per i piccoli editori"
Nel corso delle ultime settimane Google ha deciso di prendere una posizione netta contro la riforma del copyright, come dimostrano le molte campagne social che ad oggi è possibile visualizzare sul web. Richard Gingrass, responsabile News di Google, pur dichiarandosi d'accordo sul fatto che la norma miri a proteggere il lavoro dei giornalisti, ha esortato i deputati e i commissari UE a ripensare bene la riforma perché gli effetti dell'articolo 11 sarebbero devastanti per i piccoli editori e "limiteranno l'innovazione nel mondo del giornalismo". Parlando specificatamente di Google News, che in realtà non genera direttamente delle entrate, la norma in discussione nei negoziati, e specificatamente l'art. 11, potrebbe avere effetti anche sul quel servizio, vedendosi ridurre della metà il numero di testate che ad oggi lo usano. Vale a dire la metà delle 80.000 attuali. Dal punto di vista degli introiti, continua Gingrass, questa riforma andrebbe ad avvantaggiare i grandi editori che riceverebbero il 64 percento delle nuove entrate, mentre ai piccoli editori resterebbe circa l'1 percento. Il rischio è che quindi questa norma possa davvero influenzare il consumo delle notizie, lasciando fuori da questo schema le notizie locali.
Gingrass, infine, indica la strada alternativa a questa riforma, ossia quella di lasciare liberi i piccoli editori di poter scegliere liberamente il proprio modello di business, in un contesto di grande cambiamento all'interno del mondo del giornalismo. In attesa che i negoziati possano arrivare ad un punto di equilibrio – i prossimi si terranno il 13 dicembre – resta il fatto che questa norma resta ancora lontana da quella che davvero dovrebbe essere, rispettando gli obblighi e i diritti di chiunque.