Resident Evil 3 Remake: la storia di un’eccellenza dei videogiochi horror
Più volte abbiamo parlato del videogioco come un medium sospeso tra passato e futuro. Resident Evil 3 Remake, annunciato ieri allo State of Play (evento in streaming organizzato da Sony PlayStation), racchiude perfettamente questo concetto. La stessa filosofia adottata nel 2019 da Capcom, storica casa di sviluppo giapponese, guarda tanto al passato quanto al futuro. Una visione che non dispiace al pubblico videoludico, diviso tra giovani e adulti. I primi sono proiettati più verso l'online e il multiplayer (Fortnite e Minecraft), mentre i secondi sono coloro che hanno iniziato a videogiocare con Nintendo e PlayStation, e dunque più inclini ad esperienze in solitaria e spesso affezionati a titoli del passato. Si tratta di una divisione generica, ma che rispecchia sommariamente l'attuale pubblico videoludico.
Ad ogni modo, è proprio agli adulti che si rivolge parte della recente produzione videoludica, tramite la riproposizione di vecchie glorie del passato restaurate. Se però alcuni titoli, come MediEvil, si fondano esclusivamente sul fattore – potente ma spesso non sufficiente – della nostalgia, ve ne sono altri che pur restando fedeli all’originale si rinnovano, per dare ai giocatori di riferimento un’esperienza che pizzica le corde dei ricordi tramite però la sperimentazione. Ecco dunque spiegato il successo di Resident Evil 2 Remake (gennaio 2019), rivisitazione del celebre titolo Capcom uscito nel 1998 su PlayStation. Da qui diviene comprensibile la calda accoglienza riservata all’annuncio di ieri su Resident Evil 3 Remake, che questa volta riporta in auge l’avventura di Jill Valentine contro l’abominevole Nemesis, vista per la prima volta sempre su PlayStation ma nel 1999.
Resident Evil, le origini
La serie di Resident Evil, iniziata nel 1996 sulla prima console Sony e arrivata adesso a 7 capitoli canonici più spin-off e appunto un remake, è molto importante per i videogiocatori, poiché ha reso videogioco un filone diffuso nel cinema dedicato agli zombie, le cui origini si rintracciano nel regista George A. Romero e nel suo film “La notte dei morti viventi” (1968). Tuttavia, Resident Evil, anziché limitarsi a una trasposizione videoludica del cinema zombie occidentale, ne dà una sua interpretazione, riprendendo il terrore diffusosi negli anni Novanta contro il virus dell’Ebola, in un’ottica però tipicamente giapponese. Secondo la ricerca di due studiosi, Robert Mejia e Ryuta Komaki, i diversi capitoli della serie sono stati capaci di fondere cinematografia horror americana, tramite le classiche inquadrature fisse dal forte taglio cinematografico, critica sociale, legata alla diffusione dell’Ebola negli anni 90, e filosofia giapponese, che vede la società come causa di pandemie e disastri naturali. Il tutto riuscendo a terrorizzare il giovane giocatore di fine XX secolo, non ancora pronto a una rivoluzione del genere. Ecco perché le ansiogene avventure di Chris, Leon e Jill sono divenute iconiche nel panorama videoludico.
Per Capcom, riproporre i successi del passato è certamente una grande sfida, ma, per quanto visto finora, ampiamente superata data la cura per il suo brand. Resident Evil 2 Remake racconta di nuovo la storia di Leon Kennedy e Claire Redfield nella metropoli americana Racoon City, ma abbandona la telecamera fissa e la riflessione, oramai anacronistica, sull’Ebola, per donare un nuovo concetto di paura. Quest’ultimo nasce dalla sinergia tra elementi tipici del passato, come la scarsità di munizioni e il fascino delle atmosfere, e nuovi elementi, come una cura maggiore per dialoghi e trama, e una giocabilità ammodernata per il pubblico del 2019. Il risultato finale è il viaggio tra i ricordi sopramenzionato, caratterizzato però dalla capacità di sapere stupire il videogiocatore appassionato di Resident Evil 2.
Data l’accoglienza molto positiva, è facile ipotizzare una strada simile per Resident Evil 3 Remake, atteso su PlayStation 4, Xbox One e PC il 3 aprile 2020. Già i 3 minuti di trailer mostrati ieri allo State of Play provano la mentalità vincente di Capcom. Simbolo di ciò è senza dubbio Jill, la protagonista. Da icona sexy degli anni 90, pronta a combattere gli zombie a suon di shotgun e minigonna inguinale, è adesso diventa donna a tutti gli effetti, con le sue paure e con un outfit finalmente adatto alla sua avventura. Un aspetto che a molti potrà sembrare scontato, ma che in realtà cela il rischio di scontentare i giocatori affezionati, molto spesso restii ad accettare i cambiamenti, anche i più minuziosi.
Eppure, quanto visto finora con Resident Evil 2 Remake e col trailer del prossimo Resident Evil 3 Remake dimostra che nell’industria videoludica si può osare, si può sperimentare, se però si resta rispettosi del passato. Nel caso del ritorno delle icone di Resident Evil, si è solo felici di potere provare ancora paura, con pad alla mano, mentre dal corridoio buio si odono versi e passi inquietanti di uno, o più zombie.