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Rinvio di Final Fantasy VII: cosa può cambiare in un mese? Lo abbiamo chiesto a Massimo Guarini

Con il recente posticipo di videogiochi come Final Fantasy VII Remake e Marvel’s Avengers, in molti si sono chiesti cosa possa cambiare in un mese aggiuntivo di sviluppo. Lo abbiamo chiesto a Massimo Guarini, fondatore e CEO dello studio Ovosonico.
A cura di Lorena Rao
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Il 2020 si prospetta un anno incredibilmente importante per i videogiocatori: il prossimo Natale arriveranno le console di nuova generazione PlayStation 5 e Xbox Series X. Un'attesa lunga quasi un anno, ma resa più semplice dalla quantità di titoli di spessore in programmazione. Tuttavia, ultimamente, molti di questi sono stati soggetti al posticipo della data d'uscita. È successo ad ottobre a The Last of Us 2, atteso per il prossimo febbraio e in seguito rimandato a maggio 2020. È successo pochi giorni fa anche alle due principali produzioni di Square Enix, software house giapponese che ha in cantiere Final Fantasy VII Remake e Marvel's Avengers. La notizia ha suscitato la reazione dei videogiocatori, divisi in coloro che si lamentano con il team di sviluppo per il prolungamento dell'attesa e coloro che invece reagiscono positivamente, perché vuol dire far lavorare in maniera adeguata gli sviluppatori e non cadere nel vortice del crunch.

Una situazione che lascia spazio a una riflessione sui tempi di sviluppo di una grande produzione videoludica, sullo stato dei lavoratori, sulle ragioni celate dietro al posticipo della data d'uscita, sulla comunicazione tra publisher/team di sviluppo e pubblico. Una riflessione corposa, fatta insieme a Massimo Guarini, fondatore e CEO di Ovosonico, casa di sviluppo italiana con sede a Milano che ha dato i natali a due titoli dal successo internazionale come Murasaki Baby e The Last Day of June. Nomination ai BAFTA e premiazione all'Italian Videogame Awards, la carriera di Massimo Guarini include anche l'horror cult di Grasshopper Manufacture, Shadows of the Damned, e titoli Ubisoft del calibro di Naruto – Rise of a Ninja, Rainbow Six 3 – Raven Shield, The Mummy e l'iconico Rayman. Un bagaglio ricco e dalla portata internazionale, che consente di fare il punto della situazione su questo tipo di rinvii.

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Sempre più spesso l’uscita delle grandi produzioni videoludiche viene posticipata. Perché assistiamo a questi slittamenti? Pensi sia legato all’attuale struttura della game industry basata sull’incompatibilità tra filosofia dei pre-order e cultura dell’hype e la mole di lavoro richiesta ai team di sviluppo?

Sinceramente no, non penso sia direttamente legato a questo. Gli slittamenti sono sempre più frequenti perché anche le produzioni videoludiche stanno diventando più complesse. In realtà, da persona che fa questo di lavoro, posso dire che le cause sono molteplici. Ci sono una serie di motivi, tutti validi, che portano un ritardo sulla produzione e quindi sull’uscita. Possono generalmente essere legati al processo di sviluppo e alle difficoltà incontrate, così come alla strategia di marketing. Può succedere che magari il periodo designato per l’uscita venga posticipato di 4 o 5 mesi di ritardo sul mercato per il rischio di sovrapposizione con qualche altro prodotto, magari dello stesso publisher o di altri concorrenti che ne avrebbe offuscato la visibilità, quindi si va a creare un intreccio di decisioni.

Non escludo, perché è successo anche a me, che quello che è poi il tempo di sviluppo vada a creare decisioni diverse per il rilascio sul mercato, che non vanno necessariamente a braccetto. Non è che quando si ha la Gold Master di un prodotto automaticamente si decide di metterlo sul mercato. Tutto questo discorso vale quando si sforano i piani originari, perché chiaramente all'inizio qualsiasi prodotto viene pianificato: hai la Gold Master che cade il mese X e il rilascio viene deciso per il mese successivo, poco più o poco meno.

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Da un punto di vista tecnico, un mese di lavoro in più è sufficiente per portare un grosso titolo alla sua forma ottimale? È la perplessità più grande legata al posticipo di FFVII Remake, per cui la casa di sviluppo ha fatto menzione di un processo di pulizia finale.

Dipende, tutto può essere. La versione pubblica del comunicato deve essere edulcorata e va bene così com'è stata proposta [in riferimento al processo di pulizia]. Può però esserci un singolo bug che non è stato ancora risolto, ma che con un mese in più di lavoro si riesce a sistemare. Così come può essere invece un ritardo dovuto all'ottimizzazione degli asset, per cui magari servono 2 o 3 mesi per portare la grafica o il frame rate ai livelli che ci si aspetta. Non posso dire, quindi, se un mese in più sia a priori abbastanza o no. È capitato anche a me di lavorare su titoli perfetti e ineccepibili ma di non riuscire a risolvere quell'unico bug che causava il crash del gioco arrivati al livello tale. Era una stupidata ma difficilissima da risolvere. Ecco, il fatto è che per noi addetti del settore i problemi non sono sempre facilmente risolvibili: anche quando si tratta di un errore banalissimo, si può arrivare a un ritardo di 1-2 mesi sulla tabella di marcia.

Un altro caso può essere che magari si preventiva di arrivare a una beta pulita e pronta per il mese X, e poi succede che, per esempio, si avviano dei focus sul prodotto riguardo la calibrazione della difficoltà, ossia se renderlo più facile o più difficile, sulla longevità, e così via. Non ultimo può anche esserci l'ingresso in produzione di collaborazioni o partner esterni.

Diciamo che la produzione di un videogioco è un insieme di sottoproduzioni tutte molto complesse, perché non è solo una questione di animazione, né di software, né di scrittura della storia. È tutta queste cose qui insieme. È molto frequente che questo, unito alla complessità e al budget sempre maggiori delle attuali produzioni videoludiche, porti a maggiori rischi e imprecisioni. Su quest'ultimo aspetto devo anche dire che la classe manageriale della game industry è tra tutte le industrie che conosco nel mondo la meno preparata da questo punto di vista, per cui le previsioni spesso vengono sfalsate completamente. Succede anche nel mondo degli indie eh, dove magari lo sviluppo di un titolo prevede 3 anni di lavoro ma che alla fine giunge al completamento dopo 7.

Quanto costa in media a un publisher un mese in più di lavoro?

Dipende da un semplice calcolo sul mese in più e sulle persone che compongono il team. Una persona, ad esempio, può anche costare 7.000 euro all'azienda. Quindi se in un team ci sono 50 persone si fa semplicemente il calcolo dei costi in più al mese per persona. Con produzioni che bruciano 30 milioni in tre anni si può capire quanto aumentino i costi.

Dal tuo punto di vista, com’è cambiato negli anni il rapporto tra il pubblico di videogiocatori e il team di sviluppo?

Sicuramente è cambiato per via dei social e della comunicazione più aperta. Adesso lo sviluppatore parla direttamente ai suoi utenti. In più la vena sempre più autoriale del videogioco spinge i creatori a raccontarsi, quando prima si restava chiusi nel privato, anche perché i principali canali di comunicazione erano la carta stampata o i siti di settore. Questo cambiamento ha aperto le porte a un fenomeno molto interessante, perché ha dimostrato quanto sia importante e bello comunicare con la propria audience. Allo stesso tempo però ha un effetto controproducente. Con la comunicazione social viene data voce a chiunque, per cui chiunque può dire la propria opinione, che può essere stupida, fuori luogo o deviante, ma arriva comunque allo sviluppatore.

Io, dall'altra parte della barricata, tendo a seguire, ma neanche tanto, quella che può essere la reazione successiva all'annuncio di un ritardo sulla data d'uscita. Questo è un tipo di comunicazione che va ben gestito: è un lavoro in più per il publisher o lo sviluppatore, che si ritrova una mole di commenti in tempo reale costante. È chiaro che bisogna gestire tutto al meglio, senza però mai dargli troppo peso, perché altrimenti si rischia di diventarne schiavi. La visione totale del progetto deve restare fedele alla propria visione, perché sennò tutti si sentono in dovere di dire "no deve essere così, no deve essere cosà". Per fare un paragone se questo accadesse nel mondo del cinema: se qualcuno dicesse a Martin Scorsese come girare l'ultima scena, cambierebbero del tutto i risultati. Oppure come è successo al film di Sonic, che gli utenti si erano lamentanti dell'estetica del protagonista, e quindi sono stati spesi milioni per rifare completamente tutto il film, causando poi la bancarotta di uno degli studi del progetto [in effetti il lavoro di redesign di Sonic ha comportato una spesa in più sul budget di 5 milioni di dollari NdA].

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Questa tipologia di dibattito, legato anche al crunch spesso previsto negli ultimi mesi di rifinitura di un titolo, riguarda per lo più le grandi produzioni internazionali. E invece in l’Italia? Com’è la situazione per gli sviluppatori?

Il discorso fatto finora è senza dubbio legato alle grosse produzioni dove vi lavorano 200 o 300 persone, per cui la posta in gioco è elevatissima, in relazione anche al management non sempre ottimale. È anche vero che parliamo di un'industria dove l'età media della sezione junior è molto bassa, e quindi si ha a che fare con persone che farebbero di tutto per lavorarci. Per quanto riguarda l'Italia, a mio avviso, è un microcosmo per adesso, è un fenomeno irrisorio che impatta davvero poco su quello che è poi realmente lo scenario del videogioco. Abbiamo pochissime aziende che si contano sulle dita di una mano sola che operano a livelli internazionali, che in Italia definiamo medio-grandi ma che in realtà nell'attuale panorama sono piccole.

Poi ci sono diversi microstudi di indie [indipendenti] che lavorano per passione, spesso e volentieri anche gratuitamente, o con piccoli budget. Quindi, il fenomeno del publisher che richiede del lavoro in più in un mese, può accadere anche in Italia ma in misura a mio avviso estremamente minore rispetto a quello che accade in realtà come Naughty Dog o Electronic Arts che storicamente hanno creato grandi polveroni e scandali.

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