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Web Economy, l’ombra della bolla speculativa

A Wall Street comincia a serpeggiare l’idea che ci si trovi nuovamente di fronte ad una enorme bolla speculativa, con tutti i rischi ad essa legati.
A cura di Angelo Marra
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Web Economy, l'ombra della bolla speculativa

Chi ha avuto modo di seguire il mercato della borsa nell'ultimo anno non ha potuto notare che, tra l'ingresso di nuove società e la crescita di quelle preesistenti, chi ha avuto un ruolo da protagonista è stato di sicuro il Web e il suo sterminato mondo di social network, motori di ricerca e così via. A leggere i resoconti degli ultimi mesi, dalla super valutazione di Facebook da parte di GS all'ingresso in borsa di LinkedIn, ciò che balza agli occhi sono le cifre impressionanti in questione, spesso a dieci zeri.

Se poi si fa caso alla giovane età della stragrande maggioranza di questi imperi i numeri fanno ancora più impressione; aziende nate da meno di cinque anni con budget iniziali che appaiono oggi ridicoli e che hanno raggiunto un valore pari al PIL di una nazione del Terzo Mondo. Il colosso creato da Zuckerberg rappresenta di sicuro il caso più celebre ma non è certo il solo, casi come Twitter, Quora e tanti altri hanno avuto storie analoghe, magari meno fortunate (si fa per dire).

L'affermazione di queste aziende, seppure in un mercato “vergine”, è stata di sicuro repentina, forse troppo per non far nascere qualche interrogativo. Anche perchè c'è un fattore che nella valutazione di questi colossi sembra non essere tenuto in grande considerazione: l'utile. Andando a fare i conti nelle tasche di questi Golia si scopre che tutto sommato i guadagni sono stati più da Davide, almeno rispetto al valore delle relative aziende.

Un caso emblematico è sicuramente Twitter, il popolare social network balzato agli onori della cronaca recentemente per il suo uso nelle manifestazioni di protesta in Egitto e Tunisia. Il servizio di microblogging vanta 200mln di iscritti in tutto il mondo e lo scorso anno la sua valutazione è stata di circa 4 miliardi di dollari; una cifra di tutto rispetto che quest'anno è addirittura raddoppiata. Peccato però che l'uccellino a fine anno abbia portato a casa solo 45 milioni di dollari di utili, a fronte però di alcune spese di rinnovo impianti. In parole povere il valore di Twitter è pari a 177 volte il guadagno dichiarato dall'azienda. Stesso discorso per l'Huffington Post, recentemente acquistato da Aol per 315mln di dollari, ma che ha fruttato nel 2010 meno di un decimo.

A cosa si deve questa enorme differenza? Parte del valore può essere sicuramente attribuito ai dati personali che questi siti (in particolar modo i social network ) possiedono relativi ai loro iscritti, da sempre il piatto preferito dei pubblicitari. E' possibile perciò calcolare il valore che ogni utente rappresenta per ogni singola azienda, dividendo la valutazione della società per il numero di iscritti. Ne deriva ad esempio che ogni iscritto di Facebook vale 100 dollari, cifra ridotta a 45 dollari per Twitter e 30 per LinkedIn, considerando però che nella valutazione si tiene conto anche di profili non realmente attivi, inutilizzati e così via.

Ciò che non può sfuggire è che tra mega acquisizioni, IPO miliardarie e supervalutazioni, la Web Economy faccia girare un bel mucchio di soldi, con le aziende protagoniste però che producono utili incredibilmente inferiori. A Wall Street comincia a serpeggiare l'idea che ci si trovi nuovamente di fronte ad una enorme bolla speculativa, con tutti i rischi ad essa legati, ma non occorre la laurea ad Harward per notare qualche anomalia nel settore.

A dimostrazione di ciò, recentemente è stata pubblicata una ricerca secondo la quale la pubblicità su Facebook, visto come una specie di Eden dai marketer di tutte le razze, risulta molto meno efficace del (si credeva) superato banner tradizionale, pur avendo dei costi considerevoli. Una piccola ma emblematica dimostrazione che questi blasonati imperi economici del web valgono spesso molto più del reale utile prodotto; una vera e propria bolla speculativa, ma così grande che se dovesse scoppiare farebbe di sicuro un gran botto.

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