Chiunque frequenti Facebook sa che alla fine di ogni anno il social network propone ai suoi utenti un bilancio degli ultimi mesi fatto dalle fotografie e dai ricordi più significativi condivisi sulle sue pagine. Per Facebook però il 2018 non è stato un anno particolarmente felice, anzi: negli ultimi 365 giorni la società è stata oggetto di scandali che hanno esposto a utenti e osservatori la natura a tratti controversa del modo in cui fa business in tutto il mondo.
I prodromi e la maledizione di Soros
L'anno nero di Facebook — così è stato battezzato da svariate testate online — era in incubazione da tempo, tanto che il suo numero uno Mark Zuckerberg all'inizio di gennaio aveva pubblicato un proposito per il 2018 molto particolare: risolvere i problemi relativi ad abusi, odio e fake news che già nell'anno precedente avevano minato la piattaforma. Pochi giorni dopo, ispirato dagli stessi temi, il miliardario George Soros ha pronunciato dal palco del World Economic Forum parole poco lusinghiere nei confronti della piattaforma, definendola (insieme a Google) una vera e propria "minaccia per la società".
Cambridge Analytica
A poche settimane di distanza, a marzo, è scoppiato lo scandalo più grave che l'azienda abbia dovuto affrontare: l'inchiesta, pubblicata inizialmente da The Observer, sulla società di analisi Cambridge Analytica. Dal reportage è emerso come Facebook sia stata inconsapevolmente ma colpevolmente uno strumento di propaganda elettorale, che ha consentito a una società esterna di rastrellare dati suoi suoi utenti e di utilizzare i profili così ottenuti per diffonere in modo più efficiente notizie utili a indirizzare la campagna elettorale vincente di Donald Trump nel 2016.
Le scosse di assestamento
Aprile è stato il mese in cui il mondo ha iniziato realmente a confrontarsi con le conseguenze delle rivelazioni del The Observer. All'inizio del mese Facebook ha rivelato che gli utenti violati dalle operazioni di Cambridge Analytica sono stati 87 milioni; pochi giorni dopo è stata la volta dell'apparizione di Zuckerberg di fronte al Congresso statunitense; a fine mese il co-fondatore di Whatsapp, Jan Koum, ha lasciato il gruppo in contrasto proprio su questioni che riguardavano la gestione della privacy e la sicurezza dei dati all'interno della sua app.
Primavera di fuoco
A maggio è stato il Parlamento Europeo a voler sentire Zuckerberg in prima persona, ma l'incontro non ha lasciato particolarmente soddisfatti i parlamentari, liquidati con risposte parziali. Il team intanto ha tentato di ricostruire un rapporto di fiducia con i propri utenti lanciando una serie di strumenti all'interno del sito e dell'app per gestire in modo più semplice le impostazioni relative alla privacy. A inizio giugno però il New York Times ha sferrato il primo tra numerosi colpi che il quotidiano assesterà più in là nel corso dell'anno. L'accusa nei confronti di Facebook è di aver condiviso per anni i dati dei suoi utenti con più di 60 aziende produttrici di smartphone, tablet e altri dispositivi. Pochi giorni dopo, è arrivata la rivelazione che nel corso del mese di maggio un bug nella piattaforma ha esposto i post privati di 14 milioni di utenti.
La borsa reagisce (male)
A luglio non sono mancati gli inciampi: un altro bug ha sbloccato 800mila utenti dalle liste di conoscenti che li avevano bloccati, mentre gli algoritmi di controllo sull'incitamento all'odio hanno contrassegnato erroneamente come dannoso un post contenente la Dichiarazione d'indipendenza americana. Poco più che gaffe, in confronto a quello che sarebbe successo pochi giorni dopo: i primi risultati trimestrali pubblicati dal gruppo emersi dopo lo scandalo Cambridge Analytica e l'entrata in vigore del gdpr hanno mostrato un social in crescita stagnante e provocato ai titoli del gruppo un tonfo in borsa del 19%. In un giorno il titolo ha perso più di 118 miliardi di dollari di valore, un record.
Mollano i fondatori di Instagram
A settembre i guai per Facebook hanno assunto principalmente il volto degli ex numeri uno delle aziende acquisite dal gruppo nel corso degli anni. I due fondatori di Instagram, Kevin Systrom e Mike Krieger, hanno infatti lasciato la società che insieme crearono nel 2010. L'addio è avvenuto formalmente senza strappi ma ha fatto discutere gli osservatori anche perché è stato seguito, pochi giorni dopo, da alcune dichiarazioni di Systrom e da un'intervista concessa a Forbes dal co fondatore di WhatsApp Brian Acton, nella quale quest'ultimo ha rivelato di sentirsi in colpa per aver svenduto la privacy dei propri utenti a un'azienda che trae profitto proprio dalla gestione dei dati.
Altri bug, altri scandali
Ottobre si è aperto con le conseguenze della scoperta di un'altra falla nella sicurezza della piattaforma, che ha obbligato Facebook a disconnettere 90 milioni di account a scopo precauzionale e non è quindi passata inosservata, ma si è chiuso senza altri drammi. Fanno eccezione solo la comunicazione dei dati trimestrali — che confermano le tendenze emerse a giugno senza però provocare ulteriori crolli — e la multa comminata al gruppo dal Regno Unito per il caso Analytica, che però ammonta ad appena 560mila euro. È stato novembre però a segnare una nuova stagione di grattacapi, inaugurata dal New York Times che ha pubblicato un reportage sulle tattiche sistematicamente impiegate da Facebook per sviare le critiche alla piattaforma. In uno dei pezzi relativi alla vicenda viene fatto il nome di del COO Sheryl Sandberg, che tra le altre cose avrebbe ordinato ad alcuni dipendenti di compiere indagini sul conto di Geroge Soros per comprenderne il profilo e l'origine delle critiche al social network pronunciate all'inizio dell'anno. A fine mese un ex manager del gruppo ha pubblicato una lettera nella quale ha accusato la società di non essere sufficientemente inclusiva nei confronti degli impiegati afroamericani.
Propositi per l'anno nuovo
L'anno di Facebook si chiude con un dicembre a dir poco movimentato. Il New York Times ha infatti aperto un nuovo fronte d'attacco, denunciando come Facebook abbia stretto accordi con numerose società di alto profilo per dare loro un accesso speciale ai dati degli utenti. Molte delle accuse in realtà sono le stesse rivolte alla società già in primavera e si riferiscono ad anni in cui la piattaforma era ancora agli albori; corroborate dalle testimonianze di 50 ex dipendenti, le affermazioni hanno però costretto Facebook a un chiarimento pubblico. Difficile a questo punto immaginare quali potrebbero essere i propositi del CEO Mark Zuckerberg per il 2019, ma di sicuro c'è che se l'anno in arrivo dovesse rivelarsi peggiore di quello appena trascorso per Facebook sarebbero guai seri.